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L’ammissione di Tria: l’Iva aumenterà. L’Italia sul modello ungherese

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Quello che nessuno voleva sentirsi dire, alla fine, è risuonato nelle aule del Senato. L’Iva aumenterà, a meno che non sopraggiungano eventi di bilancio straordinari, come un improvviso risveglio del Pil o un ritorno dello spread ai valori pre-governo gialloverde (130 punti base). Impossibile, d’altronde, sperare che l’Europa possa concedere altro spazio sul deficit, il che potrebbe scongiurare uno scatto in avanti dell’Iva anche al netto di crescita zero e spread alto. Quest’anno, Def alla mano, il nostro disavanzo si porterà al 2,4% del Pil, abbondantemente fuori dall’accordo stipulato con l’Ue a dicembre, che fissava l’asticella addirittura al 2%.

Per Bruxelles sarebbe come superare le colonne d’Ercole e per questo un ulteriore incremento del disavanzo accordato dall’Ue non è contemplato. Per tutti questi motivi questa mattina il ministro dell’Economia Giovanni Tria, ascoltato in audizione sul Def in commissione Bilancio (ieri era toccato a Bankitalia esprimersi sul Documento di economia e finanza, qui l’articolo), ha dovuto ammettere la realtà dei fatti. Non che nei giorni scorsi non lo avesse fatto capire (se si vuole tagliare le tasse sulle imprese e introdurre la flat tax, con Pil a zero e spread 250, l’unica è aumentare l’Iva, o saltano i conti, il messaggio del ministro). Ma sentirlo dire in un’audizione parlamentare è altra cosa. “La legislazione vigente in materia fiscale è confermata in attesa di definire, nei prossimi mesi, misure alternative”, ha spiegato Tria. “Ricordo che lo scenario tendenziale incorpora gli aumenti dell’Iva e delle accise che avrebbero luogo a gennaio 2020 e 2021”.

Messaggio fin troppo chiaro, l’aumento dell’imposta sui consumi, che i commercianti temono più di un demone (qui l’intervista di pochi giorni fa al responsabile Fisco di Confcommercio), è cosa quasi certa. Dallo scatto dell’Iva nel 2020 e nel 2021, lo Stato dovrebbe incassare rispettivamente 23 e 29 miliardi di euro. Maggiori entrate con cui provare a finanziare la crescita. In assenza della quale però è pressoché impossibile disinnescare le clausole Iva e recuperare i 23 miliardi necessari e sterilizzare l’aumento Iva. L’unica via d’uscita sarebbero tagli di spesa e privatizzazioni, ma di queste ultime non si vede traccia nel Def (ieri l’Ufficio parlamentare di Bilancio, sempre in audizione, ha nella sostanza escluso la cessione di asset pubblici per quest’anno).

Nella logica di Tria comunque l’aumento dell’Iva può avere un senso. Lo ha fatto capire anche questa mattina nel corso del suo intervento a Palazzo Madama: molto meglio tagliare le tasse sulla produttività e rischiare qualcosa sui consumi, in scia al modello ungherese dove c’è l’Iva più alta d’Europa (27%) a fronte però di un’Ires (l’imposta sui redditi societari) tra le più competitive al mondo e anche per questo molte imprese hanno deciso di aprire i battenti nel Paese balcanico governato da Viktor Orbàn. “La legge di bilancio del prossimo anno continuerà, nel rispetto degli obiettivi di finanza pubblica definiti nel Def, il processo di riforma della flat tax e di generare semplificazione nel sistema per alleviare il carico fiscale nei confronti del ceto medio”, ha precisato il responsabile di Via XX Settembre.

A onor del vero, accantonati crescita, tagli di spesa e cessioni, in realtà una ciambella di salvataggio potrebbe arrivare proprio dallo spread, visto che l’Italia sta spendendo molto in termini di interessi sui titoli, al fine di garantirsi compratori di debito pubblico. E ieri il tasso sul Btp a 10 anni è risalito al 2,5%, valore decisamente alto. “Ci auguriamo di poter rivedere a ribasso la spesa per interessi. Il livello dei rendimenti sui titoli di stato italiano è ancora troppo alto. Saranno importanti i piani del governo e le riforme ma anche gli orientamenti che il Parlamento esprimerà circa la politica di Bilancio”, ha chiarito Tria. Una riduzione dello spread potrebbe davvero aiutare il governo a trovare le risorse per bloccare l’Iva, visto che solo nel terzo trimestre dello scorso anno lo Stato ha visto la spesa per interessi sui titoli aumentare di 1,7 miliardi. Non proprio spiccioli.



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