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La sfida spaziale tra Stati Uniti e Cina. I piani lunari di Pechino

La corsa spaziale punta dritta sulla Luna. Dopo che Donald Trump ha invitato la Nasa ad accelerare la tabella di marcia per rimetterci piede entro il 2024, anche la Cina conferma simili ambizioni, mettendo nel mirino lo stesso sito di allunaggio individuato dagli americani: il polo sud del satellite naturale. L’annuncio è arrivato da Zhang Kejian, capo dell’agenzia spaziale cinese (la Cnsa) che ha aperto il China’s Space Day, l’evento tenutosi nella città di Changsha, nel cuore del Dragone rosso.

I PIANI CINESI VERSO LA LUNA

L’obiettivo è far arrivare gli astronauti cinesi sulla Luna entro i prossimi dieci anni, con un programma a tappe di cui Pechino ha già mostrato la determinazione all’inizio dell’anno, quando la sonda Chang’e 4 si è posata, per prima nella storia dell’esplorazione spaziale, sul lato nascosto della Luna. La missione successiva (Chang’e 5) si svolgerà già quest’anno, ha confermato Zhang Kejian, con l’obiettivo di raccogliere e riportare a Terra dei campioni di superficie lunare. Per la loro conservazione, a dimostrazione della rilevanza che la Cina attribuisce alle sue aspirazioni extra-atmosferiche, si è scelto un luogo simbolico: Shaoshan, città natale di Mao Zedong. Sarà solo la prossima fase del programma Chang’e, serie di missioni che prendono il nome dalla Dea cinese della Luna. Nel 2007 e nel 2010 sono partite rispettivamente Chang’e-1 e Chang’e-2, con due sonde orbitanti intorno al satellite. Nel 2013, Chang’e-3 ha condotto sulla superficie un lander e un rover che, nonostante alcuni problemi di mobilità, ha operato per 31 mesi.

LA TABELLA DI MARCIA

Per gli obiettivi successivi mancano ancora i dettagli, ma il numero uno della Cnsa ha spiegato che in “circa dieci anni” si potrebbe avere una stazione scientifica abitata sul polo sud lunare, lo stesso sito individuato dagli Stati Uniti per l’ambizioso ritorno entro il 2024. Nel frattempo, Pechino guarda anche verso Marte, con il lancio della prima sonda che, ha confermato Zhang, è previsto per il 2020. Nello stesso anno dovrebbe partire il primo modulo di Tiangong-3, il terzo palazzo celeste cinese che potrebbe essere operativo nel 2024. È destinato a ospitare permanentemente astronauti a bordo, seguendo le orme delle due precedenti stazioni. Il primo è caduto rovinosamente a terra (non senza apprensioni) a Pasqua dello scorso anno, mentre il secondo (Tiangong-2) è stato lanciato nel 2016 e ha ospitato già quell’anno gli astronauti Jing Haipeng e Chen Dong, tornati sulla Terra dopo oltre un mese in orbita.

IL RUOLO ITALIANO…

A bordo del terzo palazzo celeste ci sarà probabilmente anche l’Italia. Già alla fine del 2018, dal nuovo Comitato interministeriale di palazzo Chigi, presieduto dal sottosegretario Giancarlo Giorgetti, era arrivato il via libera a valutare la partecipazione italiana alla Tiangong-3. Secondo quanto ricostruito di recente dal commissario dell’Agenzia spaziale italiana (Asi) Piero Benvenuti, è stata la Cina “a identificare la costruzione di un modulo abitativo con capacità di osservazione, tipo cupola, che vorrebbe veder realizzato dall’industria italiana”, la quale può vantare su questo l’esperienza acquisita sulla Stazione spaziale internazionale (Iss). Un eventuale accordo è ancora in fase di definizione, ma la richiesta italiana è già stata presentata a Pechino: avere a bordo della nuova Tiangong esperimenti italiani e potervi spedire i nostri astronauti.

…E IL FATTORE NASA

La negoziazione non sarà facilissima, e inciderà probabilmente anche la storica collaborazione che l’Italia vanta con gli Stati Uniti in ambito spaziale, un rapporto che continua a consentire ai nostri astronauti un accesso privilegiato a bordo dell’Iss. Trasferimenti tecnologici privi di garanzie e scambi scientifici tra Roma e Pechino potrebbero non essere graditissimi all’alleato d’oltreoceano, un rischio che il nostro Paese deve tenere bene a mente. Avvertimenti da Washington in tal senso sembrano essere già arrivati, considerando pure che la cooperazione spaziale è stata tra i temi compresi nel discusso memorandum, siglato firmato lo scorso mese da Giuseppe Conte e Xi Jinping, oggi di nuovo insieme a Pechino per il Belt and Road Forum. Le prime parole in terra cinese del premier italiano (“l’Italia è ben attenta ad azioni predatorie”) paiono voler mantenere il giusto livello di attenzione.

GLI ACCORDI

D’altra parte, i primi accordi tra Italia e Cina in campo spaziale risalgono al 2017, quando il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella avviò con Xi la collaborazione scientifica tra i due Paesi, con Cses-1, il satellite poi lanciato a febbraio 2018 per studiare la possibilità di valutare i fenomeni sismici dallo spazio. Quando il presidente Xi è stato a Roma, la cooperazione è stata rafforzata attraverso il protocollo d’intesa sottoscritto dall’Asi con la Cnsa per il lancio congiunto del secondo satellite (Cses-02).

I PROGRAMMI DI PECHINO

L’attenzione deve però restare alta, considerando che gli interessi cinesi nello spazio sono quelli di una grande potenza. Lo dimostra il programma relativo ai lanciatori, denominato anch’esso in modo molto simbolico Lunga marcia (Chang Zheng). Tra gli obiettivi più rilevanti c’è l’esponente numero 9 della famiglia: un vettore super-pesante pensato per l’esplorazione umana della Luna e, in prospettiva, di Marte. Parallelamente, prosegue lo sviluppo del vettore medio Lunga Marcia 8, che invece potrebbe avere un primo stadio riutilizzabile, proprio come i famosi lanciatori di SpaceX. Già nel tre anni fa hanno fatto il loro debutto gli esponenti pesanti della famiglia, 7 e 5, inaugurando tra l’altro la base di Wenchang, sull’isola di Hainan lungo la costa sud del Paese.

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