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Il Venezuela è un narco-Stato. Il partito repubblicano chiede a Trump di dichiararlo

Il Venezuela potrebbe diventare il primo narco-Stato della nostra epoca? L’arresto in flagrante dei nipoti di Maduro, ad Haiti, in una operazione coperta della Dea fece esplodere la questione. Per qualche momento il regime chavista denunciò l’aggressione dell’impero, poi dovette restare in silenzio. Vennero fuori video, registrazioni e 800 chili di cocaina, fornite dalla narco-guerriglia marxista delle Farc. I due, provvisti di passaporto diplomatico e scorta, stavano costruendo una rete per portare droga negli Stati Uniti. Non servì a nulla l’uccisione, nelle settimane successive, di due testimoni. I narco-sobrinos sono stati condannati a quasi venti anni di carcere, lanciando sulla stampa internazionale la lobby della cocaina venezuelana, il Cartel de los Soles.

Questo nome era già sulle cronache regionali, dagli anni Novanta, quando alcuni alti ufficiali venezuelani furono scoperti al centro di traffici di droga. Come generali di brigata, avevano il sole come insegna, al posto delle stellette. La definizione prese quota, ora indica un cartello formato da settori dell’apparato politico-istituzionale venezuelano e alleati internazionali, al centro del traffico di cocaina, con partecipazioni nel commercio di oro, preziosi e armi. Certo, non è una novità, dagli anni Ottanta si denunciano relazioni tra criminalità e ambienti della sinistra latina, basti pensare allo scandalo cubano del generale Ochoa o alle relazioni di Pablo Escobar con i sandinisti.

Il caso venezuelano sarebbe qualcosa di più: una sperimentazione politico-criminale con ruoli intercambiabili e non incompatibili con le funzioni istituzionali, un pezzo di narco-Stato all’interno di una autocrazia para-comunista del XXI secolo. Su questo il dibattito è aperto, invece tutti sono d’accordo sulla centralità venezuelana nel traffico di droga. Solo per esempio, il clamoroso episodio di Air France, nel 2015, in cui le autorità francesi scoprirono che ufficiali e soldati venezuelani avevano imbarcato 31 valige di cocaina in un volo diretto a Parigi. Il governo chavista balbettò e poi diede la colpa ai funzionari locali, ma gli episodi si sono moltiplicati, fino a poche settimane fa. Gli Usa hanno mostrato le prove dell’utilizzo di aerei venezuelani di proprietà di un imprenditore vicino al regime, Lopez Bello, per portare cocaina nel Paese, denunciato come prestanome del temibile vicepresidente di Maduro, Tareck el Assaimi, sequestrandogli beni multimilionari.

La storia cominciò all’inizio del secolo, quando il Venezuela sostituì la Colombia come centro del narcotraffico. Il presidente colombiano Alvaro Uribe lanciò la politica di Seguridad Democratica, appoggiato dal Plan Colombia statunitense, e fece a pezzi parte dell’apparato militare della guerriglia marxista e del para-militarismo, in quel momento riferimenti principali del commercio di cocaina. Invece il governo bolivariano offrì una casa alle Farc, con uffici a Caracas (e Chavez inaugurò una statua al loro fondatore), soprattutto ruppe i rapporti di collaborazione con la Dea, storicamente solidi con il suo Paese. Però, quando le forze speciali colombiane uccisero Raul Reyes in Ecuador, cervello delle relazioni internazionali e del narcotraffico della guerriglia comunista colombiana, presero i computer e i dati che ne confermarono le relazioni con il regime chavista.

Questo processo si è consolidato attraverso la triangolazione tra gruppi internazionali, bande criminali e funzionari statali. In Venezuela ci sono parte delle Farc che non hanno consegnato le armi, soprattutto l’Eln, la guerriglia filo-cubana, autrice degli attentati di Bogotà, ma anche gruppi criminali come le Bacrim (ex paramilitari di destra), in relazione con il Cartel de Sinaloa e quello del Nord est (erede degli Zetas), che portano la cocaina in Messico, e le mafie europee, che si occupano del Vecchio continente. Se questi forniscono la droga da smerciare, nel martoriato Paese ci sono almeno tre tipologie di criminalità organizzata locale: i Colectivos, i Pranes, e le Megabandas.

I primi hanno una delega di potere statale, imponente dopo che Chavez, nel 2011, smantellò la polizia metropolitana di Caracas. Controllano settori di economia legale ed extralegale, sono decisivi per la gestione del territorio o operazioni extragiudiziali, anche eliminazione di avversari politici. Le Pranes sono gruppi criminali all’interno delle carceri, che collaborano con funzionari pubblici in cambio del riconoscimento di ruoli e del silenzio sulle loro attività. Infine, ci sono formazioni organizzate, le Megabandas, che gestiscono aree metropolitane e pure evitano fastidi al regime. Il ruolo di Freddy Bernal, uomo di punta del regime, che poche settimane fa ha avuto il compito di blindare la frontiera, quando l’opposizione ha cercato di far entrare gli aiuti internazionali, alla testa dei paramilitari, spiega l’importanza di questi settori.

Secondo InsighCrime e svariate agenzie internazionali, il cerchio si completa con un settore dell’apparato istituzionale-militare. Uno studio articolato ha individuato 123 esponenti del regime, tra questi una trentina di funzionari di altissimo livello tra i responsabili. La bomba è diventata inarrestabile quando l’ex zar antinarcotici dello stesso Chavez, Mildred Camero, ha denunciato pubblicamente la presenza di militari e politici nel Cartel de los Soles. Ancora più clamorosa è giunta la testimonianza del capo della scorta di Chavez, Leamsy Salazar, fuggito negli Usa, e ora nel programma di sicurezza della Dea. Ha sostenuto che Diosdado Cabello, il potentissimo numero due del chavismo, è la testa del Cartel de los Soles. Secondo gli investigatori, insieme al fratello Jose David, all’onnipresente El Assaimi, la moglie di Maduro, Cecilia Flores e il ministro degli interni Reverol.

Il cartello avrebbe un potere enorme. La stampa della Florida sostiene che per il Venezuela passa il 40% del consumo mondiale della cocaina. La combinazione tra potere istituzionale, interessi globali e attività malavitose potrebbe creare una straordinaria sperimentazione politico-criminale. Uno schema dove conviverebbero attori statali, extra statali ed internazionali, con una delega a gruppi privati di funzioni di controllo e repressione sociale, e di converso dall’assunzione di interessi ed attività illecite da parte di settori pubblici. Un blocco che difficilmente potrebbe negoziare una transizione, non solo perché perderebbe affari immensi. I suoi esponenti, in caso di crollo del regime sanno che finirebbero nelle mani delle polizie internazionali e, soprattutto, nelle carceri degli Usa.

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