Skip to main content

Al Baghdadi parla ai suoi per dimostrare che l’Isis non è in difficoltà. Il commento di Vidino

Al Baghdadi è tornato in video. Lo ha fatto ieri con un videomessaggio che Formiche.net ha analizzato con Lorenzo Vidino, docente e direttore del Programma sull’estremismo presso la George Washington University.

Professor Vidino, che scopo ha la diffusione di questo video e che messaggio sta tentando di veicolare l’Isis?

Si tratta del secondo video di al-Baghdadi, e ci troviamo di fronte ad una situazione totalmente diversa da quella del video datato giugno 2014. Nel primo video lo avevamo visto proclamare la nascita del Califfato, circondato da una folla in visibilio. Adesso è seduto a terra, vestito tipicamente come il leader di un gruppo di insorgenti- dal fucile alla giacca militare – e ricorda figure come Bin Laden (sempre esposto avanti alle telecamere) e al Zarkawi. Il messaggio che si vuole veicolare non ha nulla a che vedere con quello del 2014, e riflette appunto le nuove circostanze di difficoltà in cui si trova il Califfato. L’Isis non è morto, come la presenza sua e dei militanti prova, bensì combatte e continua a mietere vittime. Sembra, inoltre, rivolgersi non solo ai nemici, in tono minaccioso, ma anche ai tanti seguaci sparsi per il mondo, i quali hanno bisogno di sapere che esiste ancora l’anima forte del gruppo. Gli argomenti trattati sono pochi e riguardano avvenimenti recenti come la battaglia di Baghouz e l’attentato nello Sri Lanka, un dato che lascia emergere (proprio perché non si parla solo di Siria e Iraq) come lo Stato Islamico si stia avviando verso una strategia di decentralizzazione. In tal senso Baghdadi sembra voler lasciare spazio ad altri territori dove l’Isis sta proliferando e dove si sta unendo ad altri insorgenti, come le Filippine e alcuni Stati Africani (Nigeria in particolare). Il cambio di strategia e l’allentamento della presa su Siria e Iraq – un tempo roccaforti del grande Stato Islamico – è certamente dovuto a cause di forza maggiore, ma identifica un nuovo modello di Stato Islamico più concentrato sulle province.

Al-Baghdadi afferma, nel video, che la morte dei miliziani a Baghouz merita di essere celebrata, e che l’attentato che ha insanguinato la Pasqua nello Sri Lanka è una vendetta proprio per quanto fatto dai nemici dell’Isis in questa occasione. Perché nel video la battaglia di Baghouz è così importante?

Il jihadismo da sempre glorifica la figura dei martiri che hanno combattuto, sia in caso di vittoria che di eroica sconfitta. Questa particolarità però ha anche altre motivazioni a mio avviso. In primo luogo l’Isis incorre in svariate critiche da parte interna perché in diverse battaglie i combattenti si sono dispersi, o sono fuggiti. La milizia, nonostante la sconfitta, si è battuta con particolare ferocia a Baghouz, e i combattenti hanno mostrato un importante spirito di sacrificio, morendo praticamente fino all’ultimo uomo. L’approccio stoico merita di essere celebrato perché risponde all’ideologia del martirio che, come dicevo, è fondamentale per i jihadisti. La battaglia è un simbolo anche per la “redenzione” di al Baghdadi il quale viene accusato da cellule interne di non essere mai in prima linea. Questo è solo uno di una serie di malcontenti che l’Isis sta cercando di celare in vari modi, come attraverso questo video, elaborato per mostrare unità all’interno del gruppo e per veicolare un messaggio di resistenza non indifferente.

Isis e al Qaeda sono ancora due realtà in competizione?

Sono due realtà ancora in competizione anche se hanno adottato strategie diverse. Al Qaeda sullo scacchiere siriano ha creato una sua presenza, non proprio uno stato Islamico ma un qualcosa di molto vicino ad esso. È in condizioni migliori certamente rispetto all’Isis se si considera la presenza sul territorio del Siraq, però a livello globale sono due realtà parallele che si diramano in complicate reti di affiliazione. La competizione tra i due gruppi ha una dimensione globale, specialmente laddove Isis ha stretto alleanze con i gruppi insorgenti locali. I rapporti tra i due gruppi e le svariate affiliazioni sono tuttavia molto fluidi, nel senso che se in alcuni casi combattono anche in maniera pesante, in altrettanti abbiamo miliziani che passano da uno all’altro, in particolare confluendo verso al Qaeda. Il rapporto tra Isis e Aq e la loro competizione sarà probabilmente una delle problematiche più spinose dei prossimi anni.

A che punto è la capacità operativa dell’Isis?

In Siria e in Iraq è stata chiaramente ridotta. Al momento l’Isis è tornata a fare ciò che faceva dieci anni fa, e ad essere una forza insorgente che usa tattiche di terrorismo paramilitare senza controllo territoriale. Tuttavia l’esperienza ha permesso a Daesh di conoscere a fondo le realtà locali, tanto che adesso ha una capacità particolare nell’insediarsi nelle lotte intestine, nelle competizioni etniche e religiose locali. Possiede senza dubbio una rete di contatti, simpatie e fondi importanti in due Paesi ancora molto problematici dal punto di vista della stabilizzazione (Siria e Iraq). A livello globale, invece, è presente in decine e decine di paesi, in alcuni di essi tramite veri e propri gruppi militari, mentre in altri con cellule che operano come gruppi terroristici.

Quanto è importante il ruolo dei canali mediatici ora che Daesh ha perso terreno in Siria e in Iraq?

Il canale mediatico è chiaramente fondamentale, ma lo è sempre. Al momento presenta tuttavia delle difficoltà ad operare anche su questo piano, perché gli scenari sono parzialmente cambiati. Se cinque/sei anni fa il gruppo aveva carta bianca e libertà di movimento su social network e siti web, adesso le cose sono cambiate, poiché le piattaforme ad ampia visibilità hanno strategie di contrasto molto efficaci nei confronti del messaggio jihadista. Le nuove politiche dei social network, Facebook in primo luogo ma non solo, non sono efficaci al cento per cento, ma hanno senza dubbio ridotto la presenza dei messaggi jihadisti sulla rete. Al momento i messaggi e la propaganda di Daesh è stata spostata su piattaforme secondarie criptate, più difficili da controllare da parte dell’intelligence, ma con meno possibilità di raggiungere un grande numero di utenti. Un’applicazione come Telegram, ad esempio, riduce la larghezza dell’audience e va ad interessare solamente chi è già simpatizzante. Anche in questo caso, potremmo dire che l’Isis è tornata a fare propaganda come faceva una decina di anni fa.


×

Iscriviti alla newsletter