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Abuso d’ufficio, la versione di Vietti. Di Maio? Sembra Di Pietro…

C’è un’altra cifra su cui Lega e Cinque Stelle si sono sfidati a duello. È l’articolo del codice penale che disciplina il reato di abuso di ufficio. Lo stesso per cui nell’ultimo anno sono stati indagati diversi esponenti di spicco delle maggiori forze politiche del Paese. Da Virginia Raggi a Beppe Sala, dalla dimissionaria presidente dem della Regione Umbria Catiuscia Marini al governatore leghista della Lombardia Attilio Fontana. È Matteo Salvini a lanciare il sasso nello stagno: “va abolito”.

Secca la risposta di Luigi Di Maio: “Più lavoro e meno str…”. E però il leader grillino viene smentito ben due volte nel giro di un’ora. Prima dal “suo” premier Giuseppe Conte, che apre a una “revisione” del reato. Poi dal presidente dell’Anac Raffaele Cantone. No all’abolizione, dice, ma bisogna “pensare a una modifica”. In effetti i numeri parlano. Come scrive Il Sole 24 Ore, nella banca dati online della Corte dei Conti sono solo 150 le sentenze depositate per questo reato dal 2008. Quasi sempre peraltro il reato è associato ad altre fattispecie, come truffa e falso ideologico.

Così quell’articolo n. 323 è diventato un vero incubo per gli amministratori locali, consci di poter ritrovarsi da un momento all’altro ad affrontare vere quaresime giudiziarie che in gran parte finiscono con l’archiviazione. Campagna elettorale a parte, forse Salvini non ha tutti i torti. “Anche io sostanzialmente sono favorevole all’abolizione o almeno a una drastica rivisitazione dell’abuso di ufficio – spiega a Formiche.net Michele Vietti, avvocato, già vicepresidente del Csm (Consiglio superiore della magistratura) e sottosegretario alla Giustizia – si tratta di una fattispecie che troppo spesso, aggirando i principi di tipicità e tassatività della norma penale, va a colpire gli amministratori locali o i pubblici ufficiali che già operano in condizioni non facili”.

Tanti i problemi, a cominciare dal dettato grammaticale. L’articolo parla di violazione di “legge” o “regolamento”. Dice Vietti: “sono aspetti talmente generici e indeterminati che una qualsiasi condotta rischia di incapparci e dare origine a un procedimento penale, salvo non pervenire a condanne definitive”. L’archiviazione non basta a cancellare le tracce: “anche se strada facendo evapora l’ipotesi di reato, il danno alla carriera e alla credibilità dell’amministratore è fatto”.

Poi c’è una questione di merito. Non è infrequente, dice l’ex Csm, che il reato di abuso d’ufficio funzioni come inibitore dell’azione amministrativa. “C’è il rischio di un controllo dell’autorità giudiziaria sulla libertà di scelta dell’amministratore locale che non è proprio in linea con il principio di separazione dei poteri”.

Né vale, come fa Di Maio, fare tutto un fascio dell’abuso di ufficio e della corruzione. Per il pentastellato il primo sarebbe “una spia” della seconda. Non è così per gli addetti ai lavori. “Di Maio non è un giurista, rispolvera una vecchia tesi di Antonio Di Pietro per cui l’abuso di ufficio altro non è che una corruzione dove non sono stati trovati i soldi – chiosa Vietti – ma la corruzione non si scopre con le ‘spie’ o le cartine da tornasole, o si trova o non si trova, se si vuole contestare vanno trovate le prove”.

L’ennesima puntata della corsa alle urne europee? Probabile, “qui siamo in perenne campagna elettorale” dice l’avvocato. Ma è anche l’amara riprova che in prossimità delle elezioni la giustizia torna utile da brandire fra avversari politici. Dal caso Siri alle inchieste in Lombardia, è un mese che i gialloverdi e le opposizioni fanno comizi sull’attività della magistratura. “La storia non ha insegnato niente, usare la giustizia come un’arma contro gli avversari non ha mai portato bene a nessuno e quasi sempre diventa un boomerang” spiega Vietti. La vicenda giudiziaria dell’ex sottosegretario leghista alle Infrastrutture indagato per corruzione è emblematica, dice. “Inutile fare i paragoni con altri Paesi europei, perché da noi esiste l’obbligatorietà dell’azione penale. Se all’automatismo dell’inchiesta si fa seguire l’automatismo politico delle dimissioni si crea una catena dagli esiti incerti. Le regole devono valere per tutti, e la ruota gira sempre…”

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