Skip to main content

La recessione è finita, ma la crescita è un’altra cosa. Lo spiega Casero

Attenzione a non cadere nella trappola e confondere un fuoco di paglia da una fiamma ben più alta e duratura. Sì, è vero, ieri dall’Istat sono arrivate buone notizie, il nostro Pil ha interrotto la traiettoria discendente ponendo fine alla recessione tecnica. E la disoccupazione ha registrato una battuta d’arresto non trascurabile. Tutto molto bello, ma a un occhio attento non sfuggono certe debolezze che si celano dietro questi numeri. Un occhio come quello di Luigi Casero, ex viceministro dell’Economia nei governi Letta, Renzi e Gentiloni e prima ancora sottosegretario sempre a Via XX Settembre ai tempi di Silvio Berlusconi premier per la quarta volta. Bisogna andarci piano quando si parla di Pil, di lavoro e perché no di tasse, non bastano due numeretti per dirsi fuori dalla palude. Anzi.

Casero, la recessione è finita dice l’Istat, possiamo esserne contenti?

Sicuramente si tratta di una notizia degna di nota visto l’aggravarsi del quadro macroeconomico negli ultimi mesi. Però dobbiamo stare attenti a non farci troppe illusioni e a non scivolare verso un’euforia immotivata. La vera gioia sarebbe stata evitare la recessione, ma così invece non è stato.

Si spieghi, perché dobbiamo essere cauti coi numeri di ieri?

Perché l’Italia è tornata a crescere almeno un po’ è vero, ma lo fa sempre molto meno degli altri. I nostri volumi di crescita continuano a rimanere ben al di sotto delle altre economie europee con le quali noi dobbiamo competere tutti i giorni. I nostri target devono essere quelli della Germania, non quelli di Paesi disastrati. E poi c’è la questione temporale. Abbiamo avuto un primo trimestre in positivo su questo non c’è dubbio, ma questa crescita deve durare nel tempo, non fermarsi nuovamente nel giro di qualche mese. La nostra ripresa deve essere strutturale e non una fiammella pronta a spegnersi alla prima folata di vento.

Le faccio notare che il nostro debito è ancora sostenibile. Il Tesoro, sempre ieri, ha piazzato tutti i titoli in asta…

Certamente nessuno può mettere in dubbio la solidità del nostro Paese, quanto meno dei suoi fondamentali. Il problema sta nel trasferire questo senso di solidità all’estero, verso quegli investitori che ci comprano il debito. E uno spread oltre i 250 punti base è segno che questa fiducia non è ancora arrivata oltre i nostri confini. E le ultime operazioni messe in campo dal governo non aiutano in questo senso, mantenendo il differenziale coi Bund tedeschi alto e con alti interessi pagati su ogni titolo emesso che alla fine drenano risorse che altrimenti potremmo investire altrove.

Parliamo di fisco. Il ministro Tria dice che l’unico modo per evitare l’aumento dell’Iva è tagliare la spesa. La solita spending review insomma…

Condivido, l’unica strada per evitare un aumento delle tasse è una robusta revisione della spesa. Un concetto che purtroppo si è perso in questi ultimi tempi e se non fosse stato per Tria non se ne sarebbe parlato chissà per quanto ancora. Il problema è però un altro. Una vera spending review non è stata fatta fino ad oggi, per questo penso che un ritorno di un commissario ad hoc avrebbe senso. Inoltre c’è una questione di metodo. Occorre pensare a un dimagrimento generale dello Stato, che deve progressivamente uscire da certi settori dell’economia. Uno Stato che si sgonfia tagliando sì la spesa improduttiva ma anche disimpegnandosi nel tempo. Salterebbero fuori tanti soldi con cui evitare l’aumento dell’Iva.

E cosa risponde a chi, come lo stesso Tria, caldeggia un aumento dell’Iva per favorire il taglio delle imposte sulle imprese?

Qui si commette un errore. Se io devo tagliare le tasse devo ridurle tutte, non solo alle imprese. L’Italia ha uno dei sistemi fiscali più pesanti al mondo, non c’è da spostare il carico fiscale da un settore all’altro, c’è da abbassarle tutte, Iva inclusa. Qualcuno ha parlato di modello ungherese ma mi pare che l’Ungheria abbia tasse nel loro insieme molto più basse delle nostre. L’Italia di un’Iva ancora più alta di quella attuale non se ne fa nulla.

Se le dico flat tax?

Le dico va bene, ma una tassa piatta al 15% sia su imprese, sia su lavoratori la vedo difficile. Francamente si fa un gran parlare di flat tax, ma qualcuno ha capito di che stiamo parlando? Per come la vedo io una flat tax si può fare solo in maniera mirata: sulle imprese piuttosto che sui lavoratori o viceversa. Ma tutti e due contemporaneamente la vedo complicata.

Casero in Spagna ha vinto un partito (Psoe, socialista, ndr) che sembra avere forti assonanze con certe proposte grilline, dalla vocazione assistenziale. Tra queste il salario minimo. Stiamo assistendo a un’esportazione del modello a Cinque Stelle?

Non direi. Perché le proposte della sinistra spagnola sono proprio quelle tradizionali della stessa sinistra, ovvero il sostegno alle fasce deboli. La stessa sinistra italiana diceva queste cose dieci anni fa. Non vedo francamente una replica in salsa spagnola del M5S. Fatta questa premessa, credo sia sbagliato aumentare per legge il salario minimo. Non perché sia un un errore aumentare i salari, anzi è giusto, ma perché bisognerebbe farlo con la crescita: si fa più Pil, dunque si aumenta il benessere dei lavoratori. Se un Paese cresce allora può permettersi di aumentare i propri salari ma se invece non cresce non dovrebbe farlo per legge, il rischio, anzi la certezza, è solo un aumento della spesa pubblica.

 

 

 

 

 


×

Iscriviti alla newsletter