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Siamo sicuri che le elezioni si vincano al centro? Al Pd serve altro

Pd

IL SIGNIFICATO DELLE ELEZIONI

Le elezioni europee di domenica prossima non saranno probabilmente “rivoluzionarie” a livello continentale ma saranno sicuramente un utile termometro per capire le possibilità di stabilità futura del governo e del sistema politico italiani. Nonostante le apparenze, non credo però che il gioco principale sia quello che vede in contrapposizione netta le due forze politiche di governo, con i Cinque Stelle sempre più intenzionati a marcare le distanze dai leghisti. I quali, andando sempre più strutturandosi e ponendosi come una forza politica di destra tradizionale, impongono di fatto uno spostamento a sinistra del Movimento con a capo Di Maio.

In questo modo, le posizioni dei Cinque Stelle si sovrappongono spesso a quelle del Pd, che con Zingaretti ha ricalibrato a sua volta a sinistra le precedenti posizioni “centriste” di Matteo Renzi. Ha fatto bene o male? Avrà più chance in futuro una sinistra attenta ai problemi sociali e inclusiva come quella del nuovo segretario, o una liberal e riformista come quella che continua a proporre Renzi?

LA CONCORRENZA A SINISTRA

La mia idea è che, in sostanza, non hanno molte chance né l’una né l’altra posizione e che perciò il Pd si trovi in una specie di cul de sac. Per avere qualche chance, Zingaretti dovrebbe infatti eliminare la concorrenza dei Cinque Stelle a sinistra, il che allo stato attuale è ipotesi irrealistica, anche perché imporrebbe l’introiezione di una quota di “populismo” che non è nelle corde del nuovo segretario. Difficile è però anche un’alleanza. Infatti, se è difficile un “contratto” fra diversi, come mostrano le vicende di questi giorni, figuriamoci una alleanza fra forze che combattono per il consenso sullo stesso bacino elettorale. Non praticabile è però nemmeno la via centrista, che ribadisce Renzi in un’intervista concessa oggi a Quotidiano nazionale.

L’ex segretario, dopo un attestato solo formale di “fedeltà” a Zingaretti, afferma con forza la sua contrarietà alla nuova linea politica, proponendosi di lavorare per la riorganizzazione di un nuovo centrosinistra. “Bisogna guardare – dice – a un centro moderato, perché la nostra storia e tutto il mondo insegnano che le elezioni noi le vinciamo al centro, non a sinistra”. Ma siamo sicuri che il Pd abbia spazi al centro e che, soprattutto, le elezioni si vincano oggi in quest’area politica? Mi sia permesso dubitarne, anche se so bene che illustri politologi (ad esempio Angelo Panebianco) sostengono questa tesi, anche in considerazione del fatto che il nostro sistema politico è ormai proporzionale quasi del tutto. Mi sembra però un modo di ragionare un po’ “arcaico” e che, soprattutto, non fa fino in fondo i conti con quella che è la linea di frattura principale che attraversa oggi il corpo politico. Una frattura che impone anche al “centro” di riformularsi in un senso politico più stretto e più forte. Una sinistra che oggi fondi il suo moderatismo su tematiche quali la biopolitica o i diritti, o anche l’economia di mercato (per quanto “sociale” possa essere), ha poche chance rispetto a chi in un senso forte vuole dal ceto politico risposte alle proprie esigenze di sicurezza e protezione (sia economica sia fisica).

Riproporre poi il discorso sulla “competenza”, come pure fa Renzi nell’intervista odierna, se può avere qualche effetto sul residuo ceto medio intellettuale o “riflessivo”, genera per ciò stesso diffidenza profonda in quell’elettore medio che in qualche modo (e non a torto) si sente tradito dalle forze politiche tradizionali. Se le elezioni di domenica confermeranno il consenso alle forze di governo, come io penso, solo una “mossa del cavallo”, o un cambio di paradigma, potrà salvare la sinistra. Mi sembra però che né Renzi né Zingaretti siano capaci di farsene portatori.

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