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La microcooperazione al servizio dello sviluppo

Dal 15 al 17 maggio, alla nuova Fiera di Roma, si è svolta EXCO2019, la prima esposizione internazionale della cooperazione allo sviluppo. Vi hanno partecipato delegazioni da 45 Stati, istituzioni italiane, europee e multilaterali, agenzie di sviluppo, aziende, banche di investimento, fondazioni, organizzazioni internazionali, ONG, università, centri di ricerca. Il grande sforzo creativo e organizzativo che, assieme ai partner Diplomacy e Sustainaway, la Fiera di Roma ha profuso per dare vita a questa manifestazione è stato perpetrato con l’obiettivo di creare un appuntamento fieristico che fosse allo stesso tempo un momento espositivo e un punto di incontro e dibattito su uno dei temi più centrali per l’agenda politica e sociale: la cooperazione.

Sono stati coinvolti gran parte degli attori del settore, puntando alla partecipazione, oltre che dei soggetti tradizionali, il mondo privato e profit. Un approccio del tutto in linea con la grande attenzione che sempre più la cooperazione sta rivolgendo alle imprese, nell’ottica di far procedere business e sviluppo a braccetto, con una logica di mutua promozione. Con questo appuntamento vogliamo candidare Roma, terza città al mondo per sedi Onu, a porsi quale Capitale mediterranea della cooperazione.

Questa è stata un’importante occasione di confronto e riflessione che purtroppo in giornate in cui il clima politico era incandescente ha avuto sulla stampa meno spazio di quello che avrebbe meritato. Nel suo ambito, a mio parere, si sarebbe dovuto offrire più voce a quella che chiamerei la ‘micro-cooperazione allo sviluppo’. Negli oltre vent’anni che ho lavorato in Banca Mondiale ed alla Fao sono stato spesso in contatto, soprattutto in Africa, con iniziative di micro-cooperazione molto efficaci e molto efficienti che spesso si appoggiavano in loco a reti di missionari.

Sono iniziative poco conosciute (anche perché chi aiuta davvero né vuole avere pubblicità né ne ha l’esigenza) ma che incidono profondamente sulle comunità locali. Una di queste è nata circa quaranta anni fa sulla sponda occidentale del Lago Maggiore è ha come motto kaba kakuma andu (è meglio far del bene). Ha mobilizzato circa 600.000 euro che vanno direttamente alle comunità beneficiarie in quanto il Fondo Verbania Center (costituito presso la Fondazione Comunitaria del Verbano Cusio) non ha oneri di gestione o di amministrazione.

La sua ‘filosofia’, infatti, si articola su tre punti fondanti: 1) nessun tipo di spesa generale: tutto quello che si raccoglie si spedisce e lo si rendiconta; 2) le iniziative finanziate debbono esserlo solo in parte, prevedendo il coinvolgimento di gruppi o popolazioni locali che devono co-partecipare mettendoci almeno il lavoro materiale. Inoltre i servizi poi offerti non sono completamente gratuiti, ma sempre soggetti ad un piccolo pagamento o retta di mantenimento, perché tutti siano responsabilizzati al sacrificio e siano ben mantenute; 3) ogni intervento ha sempre un responsabile locale conosciuto e serio, che possa così rispondere della qualità e con precisione di quello che viene fatto.

Ed è utile ricordare che le spese di gestione nei programmi delle agenzie delle Nazioni Unite raggiungono, e spesso superano, il 50% della dotazione e che comportano spesso fondi di contropartita dei Governi locali ma non partecipazione attiva delle comunità beneficiarie.
Attualmente il Fondo a progetti in corso di realizzazione in Mozambico in materia di istruzione e sanità (in collaborazione con salesiani e missionari laici), in Kenya per l’avvio al lavoro di ragazzi di strada ed ex detenuti (con missionari della Consolata e laici), in Colombia per il supporto ad una squadra di calcio composta da ragazzi di strada tolti così dai circuiti della malavita (con il supporto di un italiano ora residente a Cartagena). In Brasile si è appena concluso con successo il completamento di una casa per anziani, operata da suore, a Pescador nello Stato del Minas Gerais.

Possono sembrare piccole cose rispetto ai grandi progetti di sviluppo finanziati dalla Banca mondiale, dalle banche regionali di sviluppo e dalle agenzie bilaterali di cooperazione. Sono, però, queste piccole cose che fanno la differenza.

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