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L’italiano che inneggiava al jihad e voleva infibulare le figlie, ora non fa più paura

terrorismo, Manciulli, Cia

“Non aveva ancora compiuto atti di terrorismo e abbiamo lavorato per definire un’operazione legittima di deradicalizzazione su un italiano convertito all’Islam sulla base delle norme in vigore”. La professoressa Laura Sabrina Martucci insegna all’università di Bari ed è referente del rettore per i rapporti con la procura della Repubblica del capoluogo pugliese in relazione alla prevenzione della radicalizzazione e ai programmi connessi. Alla conferenza internazionale organizzata dall’intelligence italiana a Roma sul problema della radicalizzazione ha portato l’esperienza relativa ad Alfredo Santamato, alias Muhammad, di Noci (Bari) che oggi ha 44 anni. Aveva inneggiato al jihad, all’attentato di Berlino, voleva imporre l’infibulazione alle figlie e costringeva la moglie a indossare il niqab.

Com’è nato questo esperimento, finora unico in Italia?

Con la collaborazione tra l’università, la Digos e la magistratura baresi abbiamo cercato una soluzione per compiere un’azione legittima di deradicalizzazione su questo soggetto (un italiano convertito) che non aveva ancora compiuto reati di terrorismo. Attraverso l’applicazione di misure di prevenzione, che prevedono una serie di limitazioni come la privazione della libertà personale o il ritiro della patente, siamo riusciti a ipotizzare una prescrizione atipica che è possibile per il codice antimafia.

Che cos’ha deciso il giudice?

Ha disposto che il soggetto dovesse frequentare obbligatoriamente, nei due anni di durata della misura di prevenzione conclusi alla fine di aprile, un percorso di deradicalizzazione. Per conto dell’università di Bari ho coordinato un’équipe che ha scritto il programma e le linee guida. Va considerato che per lavoro guidava un autoarticolato per la consegna di pranzi e cene alle scuole: questo ha costituito l’aggravante della sua pericolosità sociale perché il mezzo costituiva potenzialmente un’arma.

Come si convince un soggetto a seguire un percorso del genere?

In questo caso la volontarietà non era sufficiente, la misura giudiziaria ha quindi consentito di imporgli legittimamente la misura. Abbiamo creato un programma assolutamente laico perché non avremmo potuto consentire che fosse un imam a deradicalizzare attraverso un ordine giudiziario: non si può imporre come mezzo affine una modalità religiosa. Nel programma abbiamo insistito molto sulla tutela dell’autodeterminazione religiosa del soggetto.

Per esempio?

Aveva tagliato la barba per andare alla prima udienza nella quale è stata confermata la misura. Può portare la barba che lo identifichi come fedele islamico, purché viva la sua fede in pace. Quando abbiamo cominciato a lavorare sui punti critici abbiamo cercato di elaborare la sua vicenda personale e come aveva maturato quelle idee che l’hanno portato ad assumere condotte che, secondo la nostra normativa, sono allarmanti perché costituiscono una concreta pericolosità sociale. In Italia abbiamo però il problema di fondo che è la legittimazione giuridica.

Significa che servirebbe una legge nazionale che regolasse l’insieme della prevenzione e dei processi di deradicalizzazione?

Assolutamente sì, però nel frattempo non siamo in ritardo, bensì nei tempi dell’evoluzione storica del jihadismo in Italia. Possiamo già usare gli strumenti che abbiamo e quello che abbiamo utilizzato a Bari potrebbe essere uno dei più versatili perché ci consente di trasformare il sospetto in un giudizio tecnico-giuridico agendo su persone che, seppure non arrivano individualmente alla radicalizzazione, possono essere dei facilitatori del messaggio.

Ne state discutendo con altre procure?

Siamo stati sentiti da tanti interlocutori, ma per ora è l’unica esperienza. Anche dall’estero ci chiedono come stiamo operando sul profilo della legittimazione ad agire. Ha incuriosito molto l’assoluta legittimità, il rispetto di tutte le procedure tanto per la tutela della sicurezza che dell’autodeterminazione della libertà del soggetto.

È previsto l’intervento dello psicologo?

In questa fase non ancora, ma ogni équipe si può formare su misura perché si tratta di misure individuali e quindi si può integrare con le professionalità necessarie. La procura di Bari decise per un percorso di recupero socio-culturale-giuridico perché preferiva affidarsi ad accademici: per esempio, un docente si è occupato dei profili costituzionali, un altro delle dimensioni sociali, come la sua famiglia e il lavoro. Tra poco pubblicheremo la relazione finale e sono fiduciosa.

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