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Il Nyt svela come funziona la rete di fake news iraniane

fake news

A volte una semplice lettera può fare la differenza. È una lezione che hanno imparato a caro prezzo decine di testate internazionali finite nel mirino di Endless Mayfly, un collettivo hacker impegnato h24 a diffondere propaganda iraniana denunciato da un recente report di Citizen Lab, gruppo di ricercatori e debunkers dell’Università di Toronto. Il report, ripreso dal New York Times, getta luce su una campagna di disinformazione guidata da un agguerrito gruppo di hacker negli ultimi quattro anni. Il modus operandi è sempre lo stesso, in gergo tecnico si chiama “typosquatting”. I mal intenzionati costruiscono falsi domini storpiando anche di una sola lettera il nome di acclamati quotidiani internazionali. Così theguardian.com diventa “theguardan.com”, lesoire.be si trasforma in “lesoire.info”, Theindependent.com in “theindnependent.com” e via dicendo.

IL METODO

I siti fake sono identici a quelli originali in quanto a grafica, impostazione della pagina, barra laterale. Di tutt’altro tenore il contenuto degli articoli che vengono diffusi sui social da account fittizi. Quasi tutti, svelano i ricercatori americani, hanno nel mirino nemici dichiarati del governo iraniano. Arabia Saudita, Israele, Emirati Arabi Uniti. E poi ovviamente gli Stati Uniti. Frequenti gli articoli su cospirazioni internazionali ordite dalla Cia. L’obiettivo del collettivo è quello di far penetrare le notizie fabbricate ad hoc nel circuito mediatico dei Paesi presi di mira. Non è un caso che le vittime prescelte siano quasi tutti opinion makers, giornalisti, intellettuali adescati sui social o via mail da presunti “colleghi” con centinaia di followers e un buon numero di interazioni. Una volta che la storia ha guadagnato sufficiente eco, i cibercriminali cancellano gli articoli fake reinserendovi il link delle testate originali cui hanno copiato il dominio. Di qui il nome con cui gli studiosi di Toronto hanno ribattezzato il collettivo. Come gli insetti efemerotteri (mayfly, ndr), anche queste fake news possono durare poco più di 24 ore.

GLI INCIDENTI

È l’annosa domanda che gli scettici pongono ai debunkers: davvero le fake news veicolate sui social da account falsi o bot possono avere un impatto sull’opinione pubblica? A giudicare dai colpi messi a segno da Endless Mayfly sembrerebbe di sì. Due esempi pratici forniti da Citizenlab aiutano a capire. Nella rete degli hacker è inciampata perfino Reuters, l’agenzia giornalistica nota per il suo ferreo codice deontologico. Scrivono i ricercatori: “nel giugno del 2017 Reuters ha riportato che sei Paesi arabi che avevano interrotto i rapporti con il Qatar, avevano scritto alla Fifa chiedendo che gli fosse vietato di ospitare i Mondiali del 2022”. Una notizia falsa presa da un fac-simile di un giornale svizzero, The Local, fabbricato dal collettivo hacker. Stessa circostanza si è verificata per un articolo originato da Lesoir.info (il dominio falso del famoso giornale belga) secondo cui la campagna di Emmanuel Macron nel 2017 sarebbe stata finanziata dall’Arabia Saudita. Altra notizia falsa, che però è riuscita a infiammare l’universo social della destra francese guadagnandosi addirittura un tweet indignato di Marion Marechal Le Pen. Tanti gli esempi elencati nel report. Da un presunto articolo di Bloomberg secondo cui l’ex capo della Cia John Brennan vorrebbe conferire una medaglia al valore al principe saudita Mohammad bin Naif a un’analisi fake della prestigiosa testata Foreign Policy che dà addosso alla Cia e difende la Fratellanza musulmana.

L’OMBRA IRANIANA

Gli autori della ricerca si limitano a concludere “con una moderata sicurezza” che dietro alla campagna di disinformazione si celi “l’Iran o un attore allineato al governo iraniano”. A dar manforte a questa ipotesi anzitutto l’allineamento delle narrative diffuse dal network con la propaganda filogovernativa di Teheran. Ma a destare sospetti è soprattutto la rete di siti web con dominio iraniano che puntualmente rilancia gli screenshot dei falsi articoli e avvia la catena di disinformazione prima che la notizia in questione venga cancellata. Una rete che in gran parte coincide con quella sgominata da grandi provider come Twitter, Facebook e Google con l’aiuto della compagnia Fire-Eye e del Dfrl lab dell’Atlantic Council in una maxi-retata contro le fake news lo scorso agosto, che ha portato alla chiusura di 652 pagine di propaganda di Stato con domini in Iran, America Latina e Russia. “Se affianchi questa operazione a tutte le altre operazioni iraniane viste in questi anni – ha spiegato ai microfoni di Foreign Policy Ben Nimmo del Dfrl Lab – l’Iran emerge come un player nella disinformazione almeno altrettanto importante della Russia”.

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