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In Libia siamo allo stallo. E gli Emirati prendono le distanze da Haftar

haftar, Libia

La guerra per Tripoli è bloccata, nessuno avanza, le forze in campo si equivalgono. Sembra aprirsi una fase delicatissima della crisi, che si muove al rallentatore, e che potrebbe portare verso un deconflicting come a un aumento dei combattimenti, e potrebbe costare la perdita del sostegno libico al governo-Serraj e della potabilità che gli attori esterni hanno dato al progetto-Haftar.

OCCHIO AD ABU DHABI

Il ministero degli Esteri degli Emirati Arabi Uniti fa arrivare alla Reuters un commento sull’attacco lanciato da Khalifa Haftar, signore delle guerra dell’Est libico, contro Tripoli, la capitale dove ha sede il Governo di accordo nazionale (Gna) guidato da Fayez Serraj. “Non ci ha consultato” prima di avviare la campagna, dice la fonte emiratina che Reuters definisce “senior”, ossia di alto livello.  Il commento da Abu Dhabi è interessante perché l’emirato è uno degli sponsor esterni che hanno tenuto vivo il lavoro despotico con cui Haftar ha conquistato il controllo della Cirenaica, costruendosi il terreno per diventare un nuovo rais. Piano a cui mancava lo scacco finale: la conquista di Tripoli, dove il governo di Serraj invece è stato installato dall’esterno tre anni fa, con una mossa di forza delle Nazioni Unite, nel tentativo di forzare la mano e gettare le basi affinché il leader onusiano ottenesse il consenso dei libici. Cosa che non è mai arrivata.

SERRAJ E ANTI/PRO ISLAMISMO

Serraj ha l’appoggio di alcuni partiti/milizia tripolini, alcuni islamisti, e di quelli della potente città-stato di Misurata; corpi politico-militari che il ministro degli Esteri emiratino continua a definire “banditi” (a volte terroristi) secondo una narrativa con cui il paese spinge Haftar a combatterli in nome dell’anti-islamismo. Emirati, Egitto, Arabia Saudita, sono gli sponsor esterni di Haftar che hanno cercato di trasformare la situazione libica in uno scontro proxy con le altre parti del mondo sunnita, con le quali è in atto una competizione per il dominio interno, Turchia e Qatar, che sostengono i gruppi pro-Serraj (o meglio: anti-Haftar).

LO STALLO POLITICO

Serraj non ha mai ricevuto l’avallo politico necessario (anche secondo il progetto Onu) da parte della Camera dei Rappresentanti, il parlamento eletto nel 2014, rifugiatosi a Tobruk, nell’Est, durante le battaglie tra Cirenaica e Tripolitania di quegli anni. Questo stallo politico che non sembra potersi sbloccare (tanto meno in questo momento) ha prodotto la situazione attuale, fino alla deriva di questi giorni, con Haftar che ha provato la soluzione finale, promettendo ai suoi sponsor esterni un’azione rapida e indolore su Tripoli, per conquistare l’intero paese, ma dimostrandosi militarmente incapace. Le milizie di Misurata hanno difeso la capitale, e quello che emerge da un mese e mezzo di battaglia lungo la periferia meridionale tripolina è che nessuna delle due forze in campo ha capacità di superare l’altra.

SCARICARE HAFTAR?

Davanti a questa immobilità, l’uscita del ministero emiratino sembra quasi un voler prendere, formalmente ma senza troppo rumore, qualche distanza da quello che sarebbe dovuto diventare l’uomo forte in Libia e che invece con la missione avventata e sanguinaria (quasi 500 morti) di Tripoli potrebbe essersi giocato la possibilità di far parte del futuro del paese. Qualcosa di simile era emerso da Abu Dhabi già all’inizio maggio, quando un’altra fonte del ministero (o forse la stessa) aveva detto sempre a Reuters che “attualmente Haftar persegue solo i suoi interessi”. Sul ruolo degli Emirati nel conflitto sta indagando l’Onu, perché sembra che abbiano fornito supporto aereo a Haftar, tramite droni che hanno colpito anche civili, e forse anche per questo stanno indirizzandosi su una via più cauta. Ieri anche Amnesty International ha parlato di “prove” di crimini di guerra contro di lui.

NEGOZIATI EUROPEI

Ieri il generalissimo libico avrebbe dovuto incontrare il presidente francese Emmanuel Macron, almeno secondo alcune fonti stampa smentite successivamente dall’Eliseo, che ha cercato ancora una volta di creare separazione ufficiale tra quello che Haftar sta facendo adesso a Tripoli, il precedente schieramento a suo fianco di alcuni reparti dell’intelligence nel 2016 (quando a Bengasi dava la caccia ad alcuni gruppi jihadisti, momento in cui s’è guadagnato l’investitura di paladino anti-terrorismo, sebbene a compiere la più importante operazione anti-terrore in Libia furono i miliziani di Misurata, liberando Sirte dallo Stato islamico), e il sostegno a Serraj. Ma qualcosa sui contatti europei del leader della Cirenaica si muove: il ministro degli Esteri francese, Jean-Yves Le Drian per esempio ha detto che Haftar è “atteso presto” a Parigi, e lo stesso dice una fonte anonima all’agenzia Nova riguardo a Roma, dove tra “pochi giorni” è previsto un faccia a faccia con Giuseppe Conte.

MOMENTO CRUCIALE?

Nei giorni scorsi era toccato a Serraj fare tappa in diverse capitali europei per chiedere un aiuto contro Haftar. L’uomo dell’Onu in Libia aveva incassato un consenso freddino, il cui risultato migliore è stato una dichiarazione congiunta dei ministri degli Esteri Ue che hanno condannato l’attacco su Tripoli. Ma hanno anche chiesto lo stop incondizionato dei combattimenti, per poi costruire una linea di ritirata trattata. E il punto della battaglia per Tripoli è tutto qui: Serraj e i suoi vorrebbero che Haftar tornasse in Cirenaica, cancellando le conquiste territoriali ottenute nei mesi scorsi in Tripolitania e nel Sud. Una condizione che per il generale è chiaramente impossibile da accettare. Ecco perché Marcon, Conte e altri sponsor esterni, potrebbero provare a convincerlo personalmente, anche facendo leva sui deboli risultati ottenuti sul campo. Un lavoro che per i due europei passa anche dal rimbalzo con la controparte Serraj che deve mitigare la sete di vendetta delle milizie della Tripolitania. Haftar ha provato a sorprenderli, ma non c’è riuscito; dopo lunghe divisioni hanno ritrovato l’unità che soltanto un nemico comune può regalare, e ora ne vogliono la testa (almeno politicamente).

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