Prosegue la crisi nel governo britannico con il licenziamento inaspettato del segretario alla Difesa Gavin Williamson cacciato dall’esecutivo a seguito della fuga di notizie sulla possibile scelta di Londra di consentire a Huawei di partecipare alla costruzione della rete 5G. L’esponente conservatore, accusato da un’inchiesta interna di essere la fonte del leak, nega di essere stato la ‘talpa’. Ma la vicenda contribuisce a rilanciare oltremanica il dibattito – aperto da Washington – sul ruolo dei colossi tecnologici cinesi e sui potenziali rischi ad essi correlati.
COSA È ACCADUTO
Dopo una riunione del Consiglio di sicurezza nazionale (composto da alcuni ministri, funzionari militari e dell’intelligence) tenuta il 23 aprile e presieduta dalla premier Theresa May, il Regno Unito aveva assunto la scelta preliminare (e non definitiva) di permettere a Huawei un accesso limitato alla struttura non “core” (cruciale) della prossima rete mobile ultraveloce. Tale valutazione sarebbe dovuta rimanere segreta fino ad un’eventuale pronuncia finale, ciononostante, a causa di una fuga di notizie (di cui Williamson è appunto stato accusato), la decisione è venuta fuori suscitando la preoccupazione di Washington.
QUESTIONI POLITICHE
La possibile scelta britannica, ovvero di permettere a Huawei di partecipare parzialmente all’implementazione del 5G, ha fatto storcere il naso a molti, non solo per la forte rilevanza operativa – che terrebbe poco conto dei rischi di spionaggio alla base dei warning Usa – ma anche politica, in quanto lo scambio di intelligence tra i due Paesi (anche attraverso l’alleanza dei Five Eyes) rischia di subire un freno. Secondo quanto rivelato dal Times, la compagnia di Shenzhen – della quale non sarebbe nemmeno chiara la proprietà – avrebbe ricevuto finanziamenti dall’intelligence di Pechino. In tal senso, come affermato anche dal più alto funzionario cyber del Dipartimento di Stato Usa, Robert Strayer, una scelta come quella apparentemente valutata da Londra potrebbe costringere Washington a fare un passo indietro sulla condivisione di informazioni con gli alleati che dovessero dotarsi di tecnologia “made in Cina” per il 5G.
LA FUGA DI NOTIZIE
L’inchiesta sulla fuga di notizie è iniziata subito dopo la pubblicazione dei contenuti discussi sul Telegraph. La direttrice della Bbc, Laura Kuenssberg, ha affermato come fonti vicine allo stesso Williamson abbiano confermato un incontro tra lui ed il vice direttore del Telegraph, Steven Swinford. Tanto sembrerebbe bastato, nonostante l’inesistenza di prove a sostegno delle accuse della May, a Downing Street, per licenziare in tronco il segretario alla Difesa.
L’INCONTRO E LO SCAMBIO DI LETTERE
Ieri sera, la premier britannica ha incontrato l’ormai ex segretario alla Difesa Williamson, rivelandogli di avere avuto informazioni che le avrebbero fornito “prove convincenti” circa la sua responsabilità per quanto concerne la divulgazione non autorizzata dei contenuti della riunione. Da Downing Street, successivamente, la May ha ribadito di aver “perso la fiducia” nei confronti di Williamson, e nella sua “capacità di servire il Paese”. Il primo ministro ha accusato, inoltre, il politico, di non aver collaborato alle indagini che si sono susseguite in questi giorni, né di aver risposto correttamente alle domande in tal senso. Mentre si fa già strada il nome di Penny Mordaunt come nuovo segretario alla Difesa, Williamson nega qualsiasi collegamento tra lui e la fuga di notizie. Rispondendo in una lettera a May, l’uomo ha inoltre affermato che un’indagine più approfondita avrebbe certamente confermato la sua posizione. Il segretario non avrebbe adempiuto alla richiesta di dimettersi da parte della May, dato che si evince nella stessa lettera nella quale scrive di aver apprezzato tale possibilità ma di non aver voluto rassegnare le dimissioni proprio perché sarebbe stato un segnale di accettazione passiva di accuse per azioni non commesse.
IL COMMENTO DI TERZI
La decisione, spiega a Formiche.net l’ambasciatore Giulio Terzi, già ministro degli Esteri, “è particolarmente delicata”. L’accusa, aggiunge, “è senza ombra di dubbio infamante, poiché trattasi di una violazione di segreto di stato. Una cosa del genere, in un contesto così delicato, non si era mai verificata nel Regno Unito”, afferma Terzi, sottolineando come “la questione non riguarda solo il dibattito di sicurezza che riguarda Huawei, ma la scelta di un momento particolare per aprire un dibattito così delicato”. Il riferimento, rimarca Terzi, è al fatto che l’incriminata riunione del Consiglio di sicurezza nazionale Uk si sarebbe svolta “nelle ventiquattrore che hanno preceduto il viaggio del ministro delle Finanze Philip Hammond a Pechino, un summit finalizzato alla sigla di importanti accordi commerciali legati al progetto Belt and Road”. Inoltre, il caso Huawei a Londra è stato, rileva Terzi, “segnalato dai vari livelli dell’Intelligence britannica nonché dal rapporto realizzato dal comitato di monitoraggio Huawei Hcsec Cybersecurity Assessment Center, sottoposto al controllo del Gchq, il quale evidenzia che la telco della Repubblica Popolare ha spesso mantenuto le vulnerabilità di sicurezza riscontrate da aziende, Servizi segreti e centri di ricerca”.
Terzi sottolinea che “l’ennesimo segnale del fatto che Huawei è una ‘pistola fumante’ arriva dalla ricerca di Vodafone svelata da Bloomberg la quale avrebbe riscontrato l’esistenza di backdoor su apparecchiature Huawei”. La presenza capillare di Huawei nelle reti di telecomunicazioni occidentali – compresa quella potenziale nel 5G in corso di implementazione -, rimarca l’ex ministro degli Esteri, “è una questione molto seria che riguarda in particolare la legge cinese sulla sicurezza del 2017 che impone un collegamento organico e sistematico tra le aziende e intelligence nazionale”. Nonostante la fuga di notizie che ha causato il licenziamento di Williamson “sia stato un scivolone che ha creato delle piccole frizioni tra Regno Unito e Stati Uniti”, ribadisce Terzi, “ trovo difficile credere che Londra assumerà una posizione favorevole a Huawei senza averne prima concordato i dettagli con Washington”. In sostanza qualsiasi ulteriore mossa del Regno Unito, nonostante un percorso politicamente opposto a quanto richiesto dagli Stati Uniti, “potrebbe far parte di una strategia non tanto condivisa, quanto, almeno, negoziata con attenzione”. Londra presenta, in questo momento, “diverse difficoltà sul fronte politico, nonché una serie di importanti tensioni con i grandi gruppi di interesse economici” dunque, conclude Terzi, “farà di tutto per non perdere credibilità sul piano dell’Intelligence”.