Skip to main content

DISPONIBILI GLI ULTIMI NUMERI DELLE NOSTRE RIVISTE.

 

ultima rivista formiche
ultima rivista airpress

Cina, Russia, Libia, Venezuela. Italia ed Europa non pervenuti. La versione di Sapelli

Sapelli

“Se solo leggessero i libri…”. Giulio Sapelli di libri ne ha letti a migliaia. Storico ed economista di fama, professore ordinario di Storia economica all’Università degli Studi di Milano, è anche un accreditato studioso di politica internazionale. Con lui mettiamo a fuoco lo strabismo diplomatico del governo italiano e l’inadeguatezza di questa Europa di fronte ai grandi eventi che scuotono il mondo, dalla Cina al Venezuela, dal Nord Africa alla Russia.

Professore, quest’Europa sembra divisa, impreparata di fronte ai grandi sommovimenti geopolitici che toccano il Vecchio Continente. Pensiamo all’avanzata commerciale cinese e alle tensioni con la Russia sul fronte Est. Non è così?

Il re è nudo. Non si può governare un impero senza avere un’aristocrazia di lignaggio. L’Europa si configura come uno Stato confederale ma è fatta di Stati nazionali che si muovono nell’agone internazionale indipendentemente uno dall’altro. Ogni tanto c’è un’entente cordiale come quella seguita al Congresso di Vienna, qualche accordo bilaterale, niente di più. Aveva ragione il grande John Spykman, quando sosteneva che un’Europa unita avrebbe avuto l’unico effetto di consegnare il Rimland nelle mani della Germania.

Non c’è proprio un terreno comune su cui costruire una politica estera europea?

Non mi pare. L’Europa non ha una politica comune in Asia, in Africa, e soprattuto verso gli Stati Uniti. Ne è prova l’incapacità europea di impedire le guerre e il terrorismo in quel lago atlantico chiamato Mediterraneo. Basta osservare quel che è successo nelle ultime settimane. Gli Stati Uniti hanno dovuto inviare due portaerei, l’Europa non ha il controllo nemmeno del “suo” mare, fossi la Mogherini mi sarei già dimesso. I francesi si distinguono per avere i migliori diplomatici al mondo, ma in Nord Africa e Medio Oriente hanno fatto solo disastri. Questo perché la Francia si crede ancora una potenza imperiale ma non ha più la forza economica e militare per esserlo.

E l’Italia ha le spalle larghe?

Lo Stato italiano è devertebrato. A resistere sono le vecchie vertebre dello Stato unitario risorgimentale. La tecnocrazia diplomatica, l’intelligence. E poi le nostre forze armate, che sono tra le migliori al mondo. La missione italiana di peace-keeping in Libano con il generale Angioni è studiata nelle accademie militari all’estero, in Afghanistan abbiamo insegnato noi agli americani come trattare con le tribù locali.

Poi c’è la politica, e cominciano le dolenti note. Anche questi gialloverdi sono sicuri che l’Italia non debba fare una scelta di campo in politica estera perché ha più potere contrattuale restando in mezzo.

Niente di più sbagliato. La stabilizzazione dei Balcani, il nostro ruolo nel Mediterraneo passano dall’alleanza con gli americani. Certo, questo non vuol dire che non abbiamo spazio di manovra. In Libia ad esempio l’Eni e l’intelligence italiana hanno cercato di difendere l’interesse nazionale mediando fra le fazioni in campo come al tempo fecero i Senussi…

In Libia non stiamo facendo una gran figura.

Abbiamo commesso anche noi l’errore di fidarci di Haftar, in Libia la regola aurea è appoggiare tutti. Questo feldmaresciallo è sopravvalutato perché chi parla di Libia non conosce la storia. Bisognerebbe ricordare che Haftar, benché ami stare in uniforme giorno e notte, non ha un curriculum da grande condottiero militare.

Eppure per tutti è “il generale”.

Faccio un esempio. Nel 1988-89, quando Gheddafi cercò di rimediare al fallimento dell’internazionale panaraba proiettandosi in Ciad, il suo esercito guidato da Haftar fu sconfitto dalle truppe ciadiane a bordo delle toyota francesi. Haftar non sa fare la guerra, e infatti sta perdendo anche oggi con le milizie misuratine.

I sovranisti italiani non sono divisi sul da farsi solo in Libia. Anche la lunga gestazione della trattativa con i cinesi ha scavato un solco fra i due partiti di maggioranza.

Premetto che per me in Italia non c’è alcun sovranismo al potere. C’è un neo-nazionalismo di destra, la Lega, e un neo-nazionalismo del nulla, i Cinque Stelle. Dalla vicenda cinese ne siamo usciti malissimo. Per esportare un po’ di aranci e qualche accordo delle nostre pmi, siamo stati l’unico Paese G7 a isolarsi da Europa e Stati Uniti. In Inghilterra Theresa May ha fatto dimettere un suo ministro per i rapporti con Huawei, noi permettiamo a questa azienda di distruggere i nostri servizi delle telecomunicazioni con la guerra di prezzi e la manodopera a basso prezzo, ed è solo l’inizio.

Facciamo gli avvocati del diavolo. Ma gli americani davvero ci offrono qualcosa in cambio degli investimenti cinesi oppure non hanno una contropartita?

Sfatiamo un mito che ancora vive a sinistra. Gli Stati Uniti non sono una potenza imperialistica, sono una potenza che prima di investire all’estero si assicura che con lo Stato in questione si instauri un rapporto virtuoso. L’Italia per loro è cruciale, qui hanno le loro basi militari, non hanno alcun interesse ad aggravare il nostro debito. Quello cinese invece è proprio un imperialismo da debito. Il Sud Est asiatico è strangolato dalle clausole capestro degli investimenti cinesi, e le infrastrutture costruite da Pechino cadono a pezzi.

In molti sono convinti che la Cina sia una superpotenza economica, magari prossima a rimpiazzare gli Stati Uniti.

Questo è un malinteso frutto di una ubriacatura non dissimile da quella che avevano atenei come Oxford e Cambridge negli anni ’60 verso l’Unione Sovietica. Si parla sempre dello sviluppo tecnologico cinese e degli investimenti hi-tech, e si dimentica che la Cina non ha una classe di lavori specializzati che è il prerequisito perché nasca una superpotenza. Si fa un gran parlare del Partito Comunista, ma si dimentica che i funzionari comunisti in Cina sono 60 milioni in un Paese di 1 miliardo e mezzo di abitanti.

Le citiamo un ultimo caso di strabismo diplomatico: il Venezuela. Da che parte deve stare l’Italia e quanto durerà il regime di Maduro?

Anche qui una premessa è d’obbligo. Non solo la politica italiana, anche la nostra comunità in Venezuela è molto divisa. Il Venezuela è quello che Samuel Huntington chiamava Stato pretoriano, una dittatura militare. C’è un solo modo per rimuovere l’attuale regime. Offrire all’esercito un patto di pacificazione sulla scia dell’ultima amnistia concessa dal governo colombiano con le Farc che è valso a Santos il premio Nobel per la Pace. Gli americani invece hanno dato prova di grande dilettantismo.

Cioè?

Gli era già andata male con Lopez, ora sta fallendo anche il tentativo con Guaidò, perché la Cia non ha creato un substrato nell’esercito in grado di sostenere un cambio al potere. La prima volta che il governo colombiano fece il patto con le Farc, i guerriglieri una volta fatto ritorno furono torturati e massacrati. I militari di Maduro non si fidano, e resteranno al loro posto. Se ci fosse Kissinger, saprebbe come applicare bene la dottrina Monroe.

Il segretario di Stato Mike Pompeo non ha escluso un intervento militare.

È pura follia, getterebbe il Paese nella guerriglia come avvenne in Brasile nel 1964. Con le Farc in Colombia è durata decenni, e il Venezuela ha una giungla ben più grande di quella colombiana, sarebbe un massacro. L’unica via è negoziare un accordo di giustizia riparativa con l’esercito grazie alla mediazione del Vaticano e della Conferenza episcopale. Solo in quel momento Maduro potrà fare le valigie per Cuba.

×

Iscriviti alla newsletter