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Cosa ci lascia un anno di governo (e di alleanza Salvini-Di Maio)

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LA FANTASIA (MALATA) AL POTERE

È stato un anno – la prima candelina sarà accesa, se mai avverrà, proprio domani – vissuto con sprezzo del pericolo. La fantasia al potere: come si diceva durante il mitico ‘68. Ma una fantasia, in larga misura, malata. Dove hanno prevalso ideologismi d’ogni genere e velenose cattiverie. Non tanto le feste su Piazza Montecitorio, per brindare alla caduta dei vitalizi. Salvo poi congelare le somme relative nelle pieghe del bilancio di Camera e Senato, in attesa del possibile intervento della Consulta. Quanto la lotta contro i cosiddetti privilegi delle “pensioni d’oro”.

L’idea sbandierata era quella di una riforma, segnata dal passaggio dal retributivo al contributivo. Ci poteva anche stare. Ma i 5 Stelle, essendo strutturalmente incapaci di provarci, hanno usato la tagliola. Il principio della decimazione. Superi un tot all’anno e quindi sei colpevole di “castismo”. Ergo vai punito, a tutto vantaggio dei più furbi. I pensionati baby che, avendo lavorato poco e versato poco, con l’idea di essere mantenuti da fratello Inps, oggi se la ridono per lo scampato pericolo. Godranno ancora degli antichi privilegi. Fosse passata l’idea del ricalcolo, su basi contributive, sarebbe stata tutta un’altra storia.

UNA STANCA RIVOLUZIONE

Intanto con “quota cento” si andava più o meno nella stessa direzione. Ma con una fondamentale differenza. Matteo Salvini dava. Luigi Di Maio toglieva. In estrema sintesi il perché del terremoto elettorale. Troppo semplice, si potrebbe obiettare. C’era anche il reddito di cittadinanza. Ma quando di fronte ai supposti 5 milioni di poveri, non si riescono nemmeno a spendere le poche risorse stanziate (6 miliardi diviso 5 milioni fanno una media di 100 euro al mese a testa), è la dimostrazione di un’imbarazzante incapacità.

E che dire di tutto il resto? Il sogno ad occhi aperti di un avvenire radioso. Il bellissimo 2019, secondo le parole, più volte ripetute dal premier Giuseppe Conte. Le previsioni buttate lì, come numeri della lotteria. Le promesse non mantenute su deficit pubblico e debito, di cui la Commissione ci chiede ora il conto. Mentre la gente normale capiva sempre meno quel mondo virtuale – l’avatar dei giochi on line – che i dirigenti dei 5 stelle cercavano di accreditare. E nell’inevitabile confusione cadevano, uno ad uno, tutti i capisaldi del movimento: dalla Tap, all’Ilva ed ora alla Tav: ultima bandiera di una stanca rivoluzione. Annunciata, ma mai cominciata.

LA STRATEGIA DI SALVINI

Matteo Salvini ha giocato al gatto ed al topo. Sornione, si è guardato bene nell’intestarsi i dossier più difficili. Ha lasciato fare. Era il ministero dell’Economia a doversi prendere le gatte da pelare, come quelle relative all’interlocuzione con l’Europa. E quando le cose non andavano bene, ecco scendere in campo il presidente del Consiglio. Pronto a mediare con i Commissari europei. Non un deficit programmato al 2,4 per cento, come proclamato da Luigi Di Maio dal balcone di Palazzo Chigi, ma nemmeno quell’1,6 per cento inizialmente promesso dal ministro Giovanni Tria. Una semplice via di mezzo: 2,04 per cento.

Il Capitano aveva fiutato dov’era la “ciccia”. Quegli italiani stanchi ed impauriti. Pronti, come in tutta Europa, a scagliarsi come un sol uomo contro, una migrazione organizzata da scafisti senza cuore. Con le varie Ong pronte: disposte a dar loro il necessario supporto logistico, in nome dei grandi principi di solidarietà umana. Scontro culturale? Scontro di civiltà? Forse. Ma dipende dal contesto. La realtà del “legno storto” di Emmanuel Kant. Oppure il sogno onirico di Alice nel Paese delle meraviglia.

Resta il fatto che la Lega ha saputo intercettare questo sentimento popolare e su questo ha costruito le sue fortune elettorali. Basterà per il futuro? Ne dubitiamo. Quel groviglio di problemi economici e finanziari, la cui non soluzione è stata delegata ai 5 Stelle, preme sulla testa degli italiani. Ed ora Matteo Salvini, forte del sostegno ottenuto e delle speranze alimentate, dovrà farsene carico. Finisce quindi l’incantesimo. Ed inizia un viaggio periglioso, che la Lega dovrà affrontare, se vuole conservare la forza che le è stata concessa.

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