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Per arrivare su Marte ci serve la Luna. Parola di Scimemi (Nasa)

Nel cinquantesimo anniversario dello sbarco dell’uomo sulla Luna, il ritorno sul nostro satellite e il successivo arrivo su Marte sono tra le priorità dell’esplorazione spaziale umana. In particolare, l’agenzia statunitense Nasa punta ad arrivare nuovamente sulla Luna entro il 2024 con il programma “Artemis” (dea della Luna e sorella di Apollo, divinità che ha dato il nome allo storico programma spaziale americano, ndr), che potrà contare su un finanziamento aggiuntivo di 1,6 miliardi di dollari per il budget 2020, oltre ai 21 precedentemente stanziati. Di Luna e Marte ha parlato oggi a Roma, Sam Scimemi, direttore dell’International Space Station (Iss) della Nasa, nell’ambito dell’evento “Dalla Stazione Spaziale Internazionale alla futura esplorazione spaziale: il ritorno sulla Luna”, organizzato dalla Camera di Commercio di Roma, in collaborazione con l’Ambasciata americana, a cui ha preso parte anche il presidente dell’Agenzia spaziale italiana, Giorgio Saccoccia.

“Cosa serve per portare l’uomo sulla Luna e su Marte in sicurezza? Questa la domanda che ci stiamo ponendo. Dobbiamo capire come andare lassù, un ambiente totalmente diverso dalla Terra, privo di acqua, ossigeno e cibo, e cercare di comprendere se ci sono elementi utili all’uomo da poter sfruttare in seguito. L’idea della Nasa è di andare in orbita lunare con un Gateway (una stazione orbitante attorno alla Luna, ndr) da utilizzare per fare scendere dei robot sulla superficie lunare prima dell’arrivo dell’uomo. Dopodiché, tra diversi anni, arriveremo a Marte”. Per dare un’idea della sfide che ci si appresta ad affrontare, da un punto di vista scientifico-tecnologico, Scimemi ha fatto il punto sulla Iss, che servirà da laboratorio per mettere a punto tutti quegli elementi che oggi ancora mancano per tornare sulla Luna e affrontare in seguito il viaggio verso Marte. Ogni anno da e per la Iss – 400 i chilometri che la separano dalla Terra – vengono effettuati dai 13 ai 15 voli. Gli astronauti per raggiungerla impiegano due giorni e comunicano in tempo reale con i centri di controllo a Terra.

“Marte è a 228 milioni di chilometri da noi. Ecco perché è importante andare sulla Luna, una tappa intermedia, posta a 386.000 chilometri di distanza”. “Tra la Stazione e la Terra c’è uno scambio costante di risorse ed equipaggi, cosa che per Luna e Marte, che richiederà un viaggio di due anni, non sarà possibile”. Primo problema da affrontare saranno le comunicazioni, “lassù saranno soli”, dice Scimemi, spiegando che servono sistemi indipendenti dalla Terra e che a tal fine la Iss servirà a sviluppare nuove capacità da riutilizzare per le missioni future, compreso il riciclo dell’acqua. “Il nostro obiettivo è di recuperare il 98% dell’acqua sull’avamposto spaziale, questo ci servirà per andare su Marte”. Altra questione cruciale sarà la salute degli equipaggi. “Tutti dovranno essere addestrati per curarsi, la capacità medica dovrà essere a bordo”. “A livello internazionale stiamo studiando nuove tecnologie per eliminare l’anidride carbonica, un vero incubo nello spazio (la polvere infatti non si deposita), per costruire hardware più piccoli da ospitare in prospettiva nei futuri avamposti, sulla base di quello che abbiamo imparato dalla Iss, come ad esempio proteggerci dalle radiazioni solari”.

“Sulla Iss – aggiunge Sam Scimemi – saranno inoltre testate comunicazioni laser e nuovi sistemi avionici. “Oggi siamo lontani dal risolvere tutti i problemi, come il cibo (la conservazione delle vitamine è tra le maggiori criticità in tale ambito). Porteremo sulla Luna tutto quello che abbiamo imparato sulla Stazione Spaziale Internazionale in questi anni. Per andare su Marte molte cose le dovremo reinventare e la Luna potrà dare risposte a molte incognite, una su tutte l’acqua”. Anche per questo motivo “abbiamo deciso di andare sul Polo Sud della Luna, dove pensiamo possano esserci delle risorse utili”. “Si tratta – conclude Sam Scimemi – di un’attività sostenibile, aperta a partnership, che andrà avanti per decenni”. E di collaborazione internazionale ha parlato anche il presidente dell’Agenzia spaziale italiana. “L’Italia – ha detto Saccoccia, da poco rientrato dalla sua prima missione ufficiale a Washington – è nella condizione di contribuire al Gateway con i suoi moduli pressurizzati e ambisce ad essere coinvolta anche nell’esplorazione marziana. Vedremo come”.

“Grazie alle nostre capacità (moduli abitabili, strutture espandibili, rover e tecnologie legate alla salute, alcuni degli esempi fatti, ndr) speriamo di arrivare ad un accordo con la Nasa per questa nuova avventura il prima possibile”. L’Italia, che con l’Agenzia spaziale statunitense ha stretto il primo di 30 accordi di collaborazione nel 1962, ha contribuito in questi anni alla realizzazione di circa il 50% della superficie abitabile della Stazione Spaziale Internazionale. “Il nostro Paese – ha detto il presidente dell’Asi – partecipa direttamente o indirettamente, tramite l’Agenzia spaziale europea Esa, alla Stazione Spaziale Internazionale, a cui abbiamo fornito, tramite l’industria nazionale, i nostri moduli pressurizzati, di cui uno permanente. Accanto a questo ci sono i moduli cargo, frutto della collaborazione tra Thales Alenis Space Italia e Orbital (adesso Northrop Grumman Innovation Systems)”. “Sta prendendo piede un nuovo modo di fare spazio – ha concluso Giorgio Saccoccia – e l’Italia grazie alle sue capacità potrà fornire agli Stati Uniti un contributo al progetto di tornare sulla Luna entro il 2024 non direttamente, ma attraverso il Gateway che farà da avamposto spaziale”.

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