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Genesi, numeri e intrecci della mafia russa

Ortodossa

Dal 1992, il termine russo mafyia viene utilizzato ufficialmente nei documenti della Federazione Russa, per riferirsi soprattutto ad una criminalità organizzata tramite gruppi stabili, che operano ripetutamente dei gravi crimini e che unificano, in particolare, gli interessi del mondo “di sotto”, l’invisibile universo della criminalità organizzata, con quello “di sopra”, le istituzioni, le classi dirigenti, la funzione politica, le imprese.

ORIGINI DELLO “STATO PARALLELO” IN ITALIA

Sia la mafia vera e propria, quella siciliana, che la russa, nascono intorno alla metà del XIX secolo. La mafia siciliana diviene lo “stato parallelo” in una zona dove lo Stato Unitario non c’è o non conta nulla. Significativa è la scena in cui il Barone di Sant’Agata, feudatario di Calatafimi, ordina ai suoi mafiosi di mettersi “dalla parte di chi vince”, quando vede che i garibaldini stanno vincendo nella piana.

La “organizzazione” siciliana, che ha radici molto antiche, forse arabe e comunque indipendentiste rispetto al Regno incentrato su Napoli e la Campania, scopre il suo ruolo politico proprio con lo sbarco dei Mille, dopo il quale diviene la mediatrice primaria tra il piccolo gruppo di militari “piemontesi” e la grande massa dei contadini. E si mette subito d’accordo con i feudatari, che l’hanno aiutata, visto che vinceva. Rimanendo peraltro, proprio la mafia, sia la banca impropria dei ricchi feudatari che l’unica forma di controllo sociale efficace, a favore unicamente delle élites feudali siciliane. E, quindi, anche del Regno Unitario. Come accadrà peraltro anche a Napoli, quando Garibaldi nominerà capo della Polizia Liborio Romano, che è anche il capo della camorra. Un poliziotto, inevitabilmente, efficacissimo.

LA MAFIA RUSSA

In Russia, invece, la criminalità organizzata viene, all’inizio, utilizzata, in politica, dai vari gruppi rivoluzionari per combattere lo Zar. Dopo, fu il momento magico di un importante “amico del popolo”, Nicholay Ishutin. Egli costituì, per primo, un gruppo di rivoluzionari di professione, nel 1864, chiamato proprio, e semplicemente, “l’Organizzazione”.

Per realizzare meglio, però, i fini rivoluzionari, anarchici e violenti, della sua Organizacjia, Ishutin creò una ulteriore nuova struttura: era detta l’”Inferno”, che doveva dedicarsi, insieme con la criminalità già attiva, a tutte le attività illegali possibili: assassinio, furto, ricatto; e tutto questo doveva accadere mentre l’”Organizzazione” mandava avanti le sue attività sociali e organizzative legali. La politica diventava qui, per la prima volta, la copertura di una organizzazione criminale. Dio solo sa quanti imitatori ha avuto, il compagno Ishutin.

IL LEGAME TRA LA MAFIA RUSSA E IL COMUNISMO

Inizia qui il fortissimo legame, anche teorico, tramite molti passaggi dai testi di Lenin che esaltano il populismo rivoluzionario russo, tra criminalità organizzata e partito comunista bolscevico. Infatti, già il 26 giugno 1907 a Tbilisi, la capitale della Georgia, fu assaltato e rapinato un portavalori della Banca di Stato imperiale, una azione totalmente organizzata dai bolscevichi, con la viva presenza anche di Lenin e Stalin. E ci fu anche il forte sostegno della criminalità locale diretta da “Kamo” Ter-Petrosian, il capo della mala georgiana e anche un vecchio amico personale di Stalin, naturalmente.

Il rapporto tra criminalità organizzata e bolscevismo, soprattutto per quanto riguarda la “riforma agraria” del 1930-’32 rimane ancora centrale. Il potere sovietico ha assoluto bisogno della sua mano sinistra extra legem, per mettere in riga duramente i contadini, organizzare militarmente la presa delle fabbriche, eliminare fisicamente, o controllare, i vecchi imprenditori o i burocrati del vecchio regime zarista.

COSA CAMBIA CON STALIN

Tutto cambia con Stalin, che, insieme alla stabilizzazione del regime bolscevico, rende possibile anche la verticalizzazione e la fondazione di una gerarchia di comando unitaria presso il vasto mondo della criminalità russa. E del Partito. E viene quindi fondata quindi l’Organizatsja, una struttura panrussa fortemente verticista, come peraltro è il Partito bolscevico.

Piena di simboli e riti particolari, come lo erano le tante organizzazioni para-massoniche della rete napoleonica rivoluzionaria in Italia, che mimavano la Carboneria o, appunto, la Massoneria, ma con meccanismi e simboli del tutto nuovi, l’’Organizzazione” viene cantata eroicamente da uno dei poeti, ex-“ladro” (il termine generico con cui Stalin aveva designato tutti i membri dell’Organizzazione) ma molto amati da Stalin, Mikhail Djomin, che esalta le gesta della vorovskoi mir, la comunità dei ladri, che hanno un solo codice di condotta e di vendetta in tutta l’Urss.

I LADRI NELLA LEGGE

Ecco quindi che viene costituita dal Partito la prima struttura organizzativa dei “ladri nella legge”, che molto opereranno in regime staliniano: le “brigate” del Mir sono comandate da un “gruppo di riserva”, che genera e seleziona un ulteriore gruppo coperto, che si deve relazionare stabilmente con il potere politico, economico, finanziario sovietico. I “vory v zakone”, i ladri nella legge, appunto, hanno rapporti da pari a pari con i capi del Partito e dello Stato, trattano con le varie “brigate”, gestiscono poi, tramite una commissione ad hoc, l’odshak, la cassa comune. Che paga soprattutto i salari ai soldati dell’organizzazione ma, soprattutto, investe i suoi proventi nell’economia “bianca”.

Senza le organizzazioni criminali e la loro finanza autonoma, non ci sarebbe stata la normalizzazione sovietica dopo le “purghe” staliniane, ma nemmeno i soldi disponibili per l’industrializzazione leninista e quelli, estremamente necessari per l’Urss, diretti al commercio estero e alle relative vendite di materie prime, dal 1930 in poi.

IL RUOLO DELLA MAFIA ITALIANA NEL DOPOGUERRA

Questo vale anche per la mafia siciliana, vera organizzazione tra i due mondi, l’americano e l’italiano, che investirà nell’immobiliare in Sicilia quando non c’erano capitali, nel secondo dopoguerra, o rifinanzierà il capitalismo del Nord dopo la tempesta politica e sindacale della fine degli anni ’60 e ’70. Senza i capitali mafiosi, e senza la protezione di alcuni imprenditori ai latitanti più importanti, a Milano, non ci sarebbe stata la ripresa economica dopo il disastro del ’68.

IL POTERE NON PUÒ FARE A MENO DELL MAFIA

Stalin accetta, ritorniamo ai bolscevichi, la presenza dei “ladri nella legge”, nei loro settori principali di attività, in cambio di una attenta persecuzione, da parte loro, degli avversari politici suoi personali e del regime sovietico. Come farà, anni più tardi, perfino de Gaulle, che proporrà alla malavita còrsa, tra le più feroci d’Europa, di combattere l’Oas e di eliminarla, in cambio di qualche favore dello Stato e del trasferimento di molti capi della Brise de Mer, così si chiama la mafia in Corsica, a Marsiglia.

Non vi è quindi potere moderno che abbia potuto fare a meno dei suoi particolari “ladri nella legge”; e qui viene in mente la Cina, nella fase delle “Quattro Modernizzazioni” e del successivo moto di Piazza Tien An Men, o gli stessi Usa, che hanno trattato primariamente con le loro varie mafie, soprattutto nei momenti di grave crisi finanziaria. Negli anni ’50, poco prima della morte di Stalin, fra l’altro, si arriva ad un rapporto strettissimo tra “Organizzazione” e vertice del potere sovietico.

DOPO STALIN

È proprio l’economia sommersa, tutta in mano ai “ladri nella legge”, che diviene, negli anni di Breznev, il punto di incontro e di affari tra mafiosi e comunisti. L’Organizatsjia ha già ottimi rapporti con le organizzazioni parallele “capitaliste”, dei rapporti siglati all’inizio della struttura russa nell’incontro di Leopoli del 1950, e diventa essenziale per reperire quei beni che non si trovano mai sul mercato russo. E anche armi e capitali illeciti. La corruzione diventa l’asse vero e proprio della burocrazia e dello stesso Partito, mentre nella popolazione si diffonde una povertà che assomiglia da vicino alle condizioni dei contadini ucraini e della Crimea, durante la cosiddetta “riforma agraria” del 1930-’31.

La Mafyia, sempre in accordo con i vertici bolscevichi, organizzerà in seguito, in ogni fabbrica o ufficio, dei “reparti clandestini”, completamente sottratti al sistema collettivista, che creeranno un mercato sommerso che, dal 1980 al 1991, varrà, addirittura, dal 35 al 38% del PIL sovietico. I proventi di questo commercio semiclandestino sono ripartiti tra il Partito, l’“Organizzazione” e le forze dell’Ordine. Nessuno può sottrarsi a questo meccanismo.

Proprio a causa di questa pervasività sociale e politica dei “ladri nella legge”, la organizatsjia si organizza, sempre negli anni ’80, con reparti per ogni settore merceologico, soprattutto con reparti specializzati in petroli, minerali, legno, pietre preziose o, perfino, caviale. In questa fase, peraltro, vengono accolti ufficialmente nella Organizatsjia molti dirigenti del Partito e dello Stato sovietici, che divengono il necessario anello di congiunzione tra i “ladri nella legge” e le Istituzioni.

LE RIFORME DI GORBACIOV

Con le riforme di Gorbaciov, peraltro, la mafyia passa da essere una parte importante del sistema economico ad essere, essa stessa, il sistema economico in toto. L’eliminazione del vecchio apparato politico; e le rapide privatizzazioni, permettono ai vecchi capi dei vari “reparti clandestini” di raccogliere rapidamente il capitale di partenza per comprare tutto quello che va, dall’impresa, sul mercato ormai apparentemente liberalizzato. Serve anche l’intimidazione mafiosa, talvolta, quando i vecchi dipendenti non vorranno cedere per pochi rubli le loro azioni, che la legge permette di ripartire tra gli operai e i dirigenti delle vecchie fabbriche di Stato.

El’cin stesso ammette, nel 1992, che oltre i due terzi della struttura produttiva e commerciale russa sono ormai in mano alla “Organizzazione”. È comunque solo la mafyia che compie, in ricordo degli antichi legami con le organizzazioni similari all’estero, i primi contratti di joint-venture con le imprese occidentali; e questa apertura al mercato-mondo è, al 72%, tutta opera dell’Organizatsjja”. Era questo quello che, se non fosse stato ucciso con la sua scorta e sua moglie, il giudice Falcone avrebbe trattato in Russia con il suo collega moscovita Stepankov. La venture funziona così: prima i capitalisti stranieri mettono i loro soldi nelle imprese della “organizzazione”, poi sono, senza saperlo e con le sole maniere cattive, nelle mani dei vecchi “ladri nella legge”.

LA PENETRAZIONE IN OCCIDENTE

Ma è dal 1990 al 1992 che la struttura mafiosa russa penetra con vasti capitali illegali, gestiti insieme alle mafie locali, in Occidente. Non a caso, lo ripetiamo, pochi giorni dopo l’attentato di Capaci, Giovanni Falcone doveva recarsi a Mosca, per conferire con Valentin Stepankov, procuratore generale della Russia, che indagava sui fondi del Pcus spariti in Occidente. Il tramite dell’operazione non poteva che essere l’”Organizzazione”, che conosceva benissimo la mafia siciliana, almeno dal succitato convegno di Leopoli del 1950.

Il fiume di denaro che andava dal Pcus ai partiti “fratelli” era immenso, e probabilmente la questione riguarda anche il fallito golpe contro Gorbaciov dell’agosto del 1991. Ogni corrente del Pcus aveva i suoi fondi autonomi, spesso colossali, che venivano conferiti ai partiti “fratelli” ma, soprattutto, alle loro correnti interne più affini. Giocano qui i conti coperti a Zurigo, paralleli ai trasferimenti del mercoledì, via aereo, alla locale Narodny Bank, e anche i passaggi di denaro che avvengono durante le visite dei dirigenti del Pcus ai vari “compagni” locali.

Ma i flussi di liquidità, gestiti unicamente dall’Organizzazione, sono letti dalla “vecchia guardia” del Pcus soprattutto come una fonte di sopravvivenza personale e una base per una futura azione politica in Patria. A cui pensano tutti, ma l’un contro l’altro armati, dentro le nuove correnti del Pcus.

I RAPPORTO TRA MAFIA ITALIANA E RUSSA (E NON SOLO)

Ed è proprio in questi anni, ed in questi mesi, che la mafia siciliana si espande, guarda caso, e per i suoi affari di droga, nel Caucaso e nella Turchia anatolica, ai confini con la nuova Federazione Russa. I rapporti privilegiati della mafyia russa sono, allora come ora, con la mafia siciliana, la camorra napoletana, le triadi cinesi e la mafia turca. Anche le relazioni con le organizzazioni criminali latino-americane e arabe sono mediate dai siciliani o dai calabresi (America del Sud) turchi (Asia Centrale e India) e cinesi (Maghreb e Africa).

Oggi, il giro annuale dell’”Organizzazione” è, ancora, di circa 2000 miliardi di rubli l’anno, con un armamento, anche nucleare, che è stato portato in dote dalle sezioni della mafyia in seno alle Forze Armate sovietiche e poi russe. Sia il Pcus che il Kgb hanno, da tempo, lo affermava perfino Luciano Violante, già presidente di una importante commissione parlamentare antimafia, ottimi rapporti con la mafia siciliana; e la stessa mafyia è ormai il centro mondiale dove si gestiscono le strategie del riciclaggio, la spartizione dei territori a livello internazionale, le nuove strategie di rapporto con le varie classi politiche.

Il Pcus e il Kgb, diceva sempre Violante, hanno messo letteralmente in piedi la più recente mafia russa, con la quale si sono progressivamente confusi. La nuova oligarchia post-sovietica, selezionata dopo guerre di mafia che hanno lasciato sul terreno, tra il 1990 e il 1995, trentamila persone, si è ormai fusa, quindi, con la classe politica. In Russia, oggi, lo diceva Solgenitsin, comandano al massimo centocinquanta persone. Putin tratta con l’”Organizzazione”, ma non è certo legato ad essa. Oggi, poi, secondo le più informate reti russe, la rete dei “ladri nella legge” è composta da circa cinquantamila elementi, tra dirigenti e semplici “soldati”. Ma la loro rete di intimidazione e di capitali li rende essenziali nello svolgimento di ogni tipo di operazione “bianca”. Sono la banca della nuova Russia, visto che le banche ufficiali fanno tutte parte della “organizzazione”.

I capimafia russi che si sono riciclati nel business legale vengono chiamati, nel gergo giornalistico e popolare russo, avtoritet, “autorità”. I russi della mafyia operano anche all’estero, in tutta Europa, ma non operano direttamente sul territorio dei vari Paesi, cercano casomai rapporti con lo Stato e la Burocrazia, tramite le stesse reti criminali nazionali. Senza trapassarle.

PARIGI POLO DEL RICICLAGGIO

Il polo del riciclaggio russo è, oggi, ancora Parigi, mentre l’”Organizzazione” si diffonde rapidamente, in questi anni, all’interno del tessuto economico, bancario e commerciale tedesco. In Italia, essa opera soprattutto in Emilia-Romagna, Toscana e, naturalmente, a Roma. Secondo le fonti della Polizia italiana, il flusso di capitali della “Organizzazione” russa in Italia è di 38,5 miliardi ogni anno, mentre il flusso del riciclaggio dei capitali russi passa ancora da Parigi, pur con qualche operazione condotta a Madrid e in Portogallo. Una diversificazione già in atto, che potrebbe interessare anche l’Italia.

Il primo tramite è, da sempre, la Lettonia, usata dai mafiosi russi per entrare direttamente nell’area Euro. L’”Organizzazione” russa creava, per entrare in Lettonia, delle società fantasma con sede a Londra. Poi, una società russa prestava denaro a quella a Londra, una società con sede primaria, spesso, in Moldavia. La società russa non ripagava il debito, quindi un giudice corrotto, sempre in Moldavia, obbligava la società russa a trasferire dei capitali in un conto moldavo.

Da qui il denaro entrava poi, in modo perfettamente legale, in Lettonia e, quindi, nel circuito dell’Euro e delle economie occidentali. La rete ha già messo in pericolo 753 banche occidentali. E il riciclaggio è uno dei business primari, ancora, della “Organizzazione” russa.

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