Sulla vicenda della nave dell’Arabia Saudita, Bahri Yanbu, che alcuni lavoratori del porto di Genova non vogliono far attraccare perché forse contenente materiali militari, formiche.net ha chiesto il parere di Michele Nones vicepresidente dello Iai. La questione, spiega, non è bloccare un porto, piuttosto è fare scelte che possano essere condivise da tutta l’Europa. “Non ha senso che i singoli Paesi europei si muovano su questo terreno in maniera disordinata e non omogenea, ritengo che avrebbe tutt’altro effetto una decisione collettiva europea sulla sospensione, o limitazione, o riduzione dell’export verso questo Paese, ma a condizione che sia tutta l’Unione a prendere questa decisione”.
La nave cargo in questione è finita sotto i riflettori per la presunta presenza di armi forse destinate in Yemen. Lo scorso 8 maggio sarebbe dovuta attraccare presso il porto di Le Havre per caricare 8 cannoni semoventi Caesar da 155 mm prodotti da Nexter ma, a causa della mobilitazione francese, ha dovuto rinunciarci. Ora la protesta si è spostata in Italia dove diversi partiti politici e organizzazioni hanno già attirato l’opinione pubblica su questa questione.
“Si crea attenzione solo per motivi elettorali interni – ritiene Nones – l’opinione pubblica è in parte confusa e in parte disinformata. Considerato che non stiamo parlando di prodotti alimentari ma di sistemi di difesa, occorrono attenzione e delicatezza su questa questione”. Una questione che si lega a doppio filo con la volontà di una parte della maggioranza di creare meccanismi di supporto strutturato al nostro export militare e che trovano il nostro Paese impreparato rispetto ai competitor stranieri. “Il disorientamento della nostra opinione pubblica – ci spiega il vice presidente dello Iai – credo che sia dovuto anche al fatto che non c’è la consapevolezza che le nostre imprese devono esportare per poter avere un ritorno sufficiente che giustifichi gli elevati costi di sviluppo dei nuovi sistemi di difesa, oltre che per poter garantire alle nostre Forze armate prodotti a prezzi competitivi e nel tempo anche parti di ricambio e supporto logistico. Quindi per noi esportare non è una scelta, ma una necessità“.
Oggi gli operai del porto di Genova volevano impedire l’attracco della nave saudita Bahri Yanbu, pensa che sia una giusta operazione?
Penso che dobbiamo partire da quello che è il quadro giuridico per comprendere i casi in cui la nave possa o non possa attraccare. Se questa nave porta degli equipaggiamenti militari a bordo e deve entrare in territorio italiano, ha ovviamente bisogno di un’autorizzazione rilasciata da parte delle autorità italiane. Io non so se questa autorizzazione sia stata rilasciata, ma presumibilmente è stato così, anche perché altrimenti non si sarebbe diretta verso il porto di Genova. Una volta che tale autorizzazione è stata concessa secondo le regole della nostra normativa, che peraltro è una normativa molto attenta, puntuale e stringente, io non ritengo possibile che singole persone, lavoratori, o associazioni possano impedire che venga fatta un’attività che è stata precedentemente consentita dalle autorità. Altro caso è la protesta dal punto di vista politico, un caso in cui ognuno è libero di esprimere la propria opinione sul fatto che l’Italia abbia autorizzato l’ingresso di questa nave nel porto. Ma se, come probabilmente è successo, la nave ha ricevuto questo tipo di autorizzazione, non vedo come sia possibile impedirglielo con un’azione di forza. Inoltre, vorrei ricordare come l’Italia abbia attualmente un normale rapporto di collaborazione con l’Arabia Saudita, in cui operano molte imprese italiane soprattutto nel campo delle infrastrutture e nel campo energetico. È un Paese con cui noi abbiamo collaborazioni, non è sottoposto all’embargo da parte di nessuna istituzione internazionale. È vero che la contestazione avviene da parte di diversi parlamenti, tra cui quello europeo, ma al momento la decisione non è stata presa. È stata sospesa da parte tedesca solo l’esportazione di alcuni e specifici mezzi militari all’Arabia Saudita.
I boicottaggi di Paesi stranieri con cui l’Italia intrattiene rapporti commerciali ci fanno ricordare quello che è accaduto con l’Egitto dopo il caso Regeni. Cosa ne pensa a riguardo?
Nel caso dell’Egitto, dal punto di vista giuridico è stato immotivata poiché l’Egitto non è sottoposto ad alcun tipo di embargo. Per quanto riguarda le esportazioni italiane, queste erano talmente ridotte che il non avere garantito le determinate parti di ricambio che dovevano essere fornite per alcuni velivoli, ha comportato sicuramente un peggioramento dei rapporti con le autorità egiziane. Ovviamente nel caso di questi regimi, noi come Paese cerchiamo sempre di evitare le esportazioni di equipaggiamenti che possano essere impiegati ai fini di repressione interna. Ma questo non ha niente a che fare con i sistemi d’arma che noi normalmente vendiamo.
Questi stop interni lasciano in realtà terreno commerciale alle industrie degli altri paesi, condivide questa visione?
Diciamo di sì, anche se in realtà l’Italia non è sicuramente il principale esportatore. Noi siamo alla rincorsa degli altri esportatori, gli altri difendono i propri spazi. Noi, ad esempio, esportiamo pochissimo in Arabia Saudita, non siamo i principali esportatori né in questo Paese né in Medio Oriente. Piuttosto io aprirei una seconda riflessione, non ha senso che i singoli Paesi europei si muovano su questo terreno in maniera disordinata e non omogenea. Ritengo che avrebbe tutt’altro effetto una decisione collettiva europea sulla sospensione, o limitazione, o riduzione dell’export verso questo Paese, ma a condizione che sia tutta l’Unione a prendere questa decisione. Ovviamente se si tratta di azioni dei singoli, inevitabilmente queste esportazioni saranno effettuate da altri. In questo caso noi paghiamo pesantemente la mancanza di volontà di costruire una politica estera europea comune.
L’Italia sta cercando di creare un supporto più strutturato per l’export militare, questi episodi fanno capire che non è una priorità per l’opinione pubblica del Paese?
È assurdo preoccuparsi di rafforzare le nostre capacità esortative per poi pensare che le esportazioni vengano piegate, come in questo caso palese, semplicemente alle polemiche elettorali in vista delle elezioni europee. Si crea attenzione solo per motivi elettorali interni. L’opinione pubblica è in parte confusa e in parte disinformata. Considerato che non stiamo parlando di prodotti alimentari ma di sistemi di difesa, occorrono attenzione e delicatezza su questa questione. Una volta che si è deciso di portare avanti una certa operazione a livello internazionale, non è che ci si può tirare fuori perché quel Paese può compiere qualche operazione che a noi non piace o con cui non siamo d’accordo. Peraltro mi lasci dire che si tratta di una contraddizione totale con la teoria del sovranismo che dice che ciascuno può decidere quello che vuole. Se l’Arabia Saudita decide che vuole fare determinate operazioni, non vedo come noi possiamo andare a dire a loro cosa possono o non possono fare. Il disorientamento della nostra opinione pubblica credo che sia dovuto anche al fatto che non c’è la consapevolezza che le nostre imprese devono esportare per poter avere un ritorno sufficiente che giustifichi gli elevati costi di sviluppo dei nuovi sistemi di difesa, oltre che per poter garantire alle nostre Forze armate prodotti a prezzi competitivi e nel tempo anche parti di ricambio e supporto logistico. Quindi per noi esportare non è una scelta, ma una necessità. Poi ovviamente si può discutere a quali paesi esportare, ma allo stato attuale l’Arabia Saudita è uno dei Paesi con cui è possibile, non essendoci stata una decisione a livello di governo di bloccare le esportazioni verso questo Paese.