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Paragone apre la caccia a Di Maio

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Che la lotta politica interna al Movimento 5 Stelle fosse intensa, lo si era capito già prima delle elezioni. Che oggi, dopo la débâcle del 26 maggio, venga alla luce in tutta la sua virulenza, non è da stupirsi.

Il capro espiatorio, o se si preferisce il maggiore imputato, è lui: Luigi Di Maio, il capo politico. È naturale visto che egli aveva preteso per sé molte responsabilità che prima erano gestite collegialmente dai vari capi del Movimento. Portatori, fra l’altro, di visioni spesso molto diverse sulla realtà politica e non. Gli erano state concesse anche perché oggi la politica è molto personalizzata e il messaggio raramente buca se non c’è un leader che ci metta la faccia. Di Maio ha preso molte decisioni in contrasto con una parte del partito, a volte facendosi delegare e altre volte forzando la mano. Generando in ogni caso malumori non sopiti, soprattutto nell’area più movimentista.

È chiaro che oggi molti nodi vengano allo scoperto e in molti pretendano, per così dire, di fargliela pagare. È il caso di Gianluigi Paragone, l’anchorman divenuto senatore, che non ha timore di venire allo scoperto e di chiedere non solo discontinuità ma anche un netto ridimensionamento del capo politico. Il quale avrebbe il torto di avere troppi incarichi e quindi di non potersi occupare a tempo pieno del partito. Ovviamente non è questo il punto e quella di Paragone, che insiste pure su una maggiore collegialità, è una sorta di “copertura” paretiana per una richiesta esplicita di dimissioni.

È chiaro che sta chiedendo la testa di Di Maio, cercando di stanare chi finora ha lasciato fare senza convinzione il leader politico. Dare poi appuntamento alla riunione di domani dei gruppi parlamentari, sa tanto di una chiamata alla conta finale. Cosa succederà non è dato saper, ma la lotta è ormai aperta. Il problema però non è forse solo Di Maio, ma la scelta dell’identità che il partito dovrà avere in futuro.

Quanto alla scelta se restare o no al governo con la Lega, essa dipende da tanti fattori, non ultimo il molto classico attaccamento alla poltrona di chi ha un incarico ministeriale (tanto aborrita dall’ideologia ufficiale pentastellata).

L’impressione è che, al governo o all’opposizione, il Movimento abbia cominciato a pagare le sue incoerenze di fondo. A un certo punto, lo si voglia o no, la politica, pur non essendo una scienza esatta, reclama il rispetto delle sue regole e fa pagare pegno a coloro che ad esse si oppongono.


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