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Si sentì umiliato dalla gogna di Tangentopoli. Stefano Parisi ricorda De Michelis

“Ho cominciato con Gianni De Michelis alle Partecipazione statali, a 26 anni. E poi l’ho seguito dappertutto: al Lavoro, alla vicepresidenza del Consiglio ai tempi del governo di Ciriaco De Mita e infine agli Esteri”. Per dieci anni Stefano Parisi ha lavorato fianco a fianco con l’ex numero due del Psi di Bettino Craxi come capo della sua segreteria tecnica. “A me personalmente ha dato tantissimo, quelli insieme a Gianni sono stati gli anni più importanti della mia vita professionale”, ha raccontato a Formiche.net con un filo di commozione il leader di Energie per l’Italia. “De Michelis era una persona di grande intelligenza e vivacità intellettuale. Molto curioso. Studiava tantissimo, divorava libri, articoli, tabelle. Con una grandissima passione per le politiche pubbliche”, ha aggiunto ancora Parisi con una punta di nostalgia e amarezza: “Aveva una grande visione ma perché approfondiva i dossier. Studiava in modo instancabile. A differenza di molti politici di oggi”.

Quali episodi le vengono subito in mente a proposito degli anni di governo con De Michelis?

Penso al 1981 quando, di fronte agli studenti della Columbia University, disse che il comunismo sarebbe finito. Tenga conto che già negli anni ’70 frequentava la Cina perché era convinto che sarebbe diventata quello che è adesso. E poi ricordo che all’inizio del 1990, quando preparavamo con Jacques Delors la presidenza italiana dell’Unione europea, già si interrogava su come migliorarne la governance. E parlava di Europa a cerchi concentrici.

Lo stesso anno del Consiglio europeo di Roma in cui prese avvio la decisione di introdurre la moneta unica. Cosa ne pensava De Michelis?

Era super favorevole perché diceva che l’Italia aveva bisogno di un vincolo esterno per eliminare la flessibilità del cambio e poter affrontare così, davvero, i problemi del Paese. Ciò che poi i governi successivi non sono stati in grado di fare.

Il suo ruolo politico è soprattutto legato ai suoi anni da ministro degli Esteri?

Non solo, assolutamente. Ad esempio non si può dimenticare che nel 1984, da ministro del Lavoro, fu l’artefice dell’accordo di San Valentino sulla scala mobile. Certo, i suoi anni agli Esteri sono stati importantissimi. E’ passato attraverso una straordinaria epoca di storia, da protagonista, da giovanissimo ministro, con una grande visione internazionale del Paese. Ricordo che eravamo insieme all’ex ministro degli Esteri tedesco Hans-Dietrich Genscher, che era un suo grande amico, quando cadde il Muro di Berlino. E poi portò l’Aspen in Italia di cui il primo presidente sarebbe stato Francesco Cossiga.

Fu anche uno dei primi politici che si occupò della questione immigrazione in Italia. E’ così?

Erano i tempi del governo De Mita, quando i migranti sbarcavano sulle coste italiane soprattutto dall’Albania. De Michelis diceva che sarebbero arrivati anche a nuoto pur di scappare. Fu allora che iniziammo a ragionare, per la prima volta nel nostro Paese, su come governare i flussi migratori. Eravamo convinti fosse necessario portare aiuti e sviluppo nei Paesi di provenienza. Parlavamo di immigrazione di ritorno e di dare doti agli immigrati perché potessero tornare in patria e aprire una loro attività economica.

E con le persone com’era?

Era umile, ci parlava e le ascoltava davvero. Voleva capire. Una volta volle incontrare il grande informatico americano Nicholas Negroponte perché voleva comprendere cosa sarebbe successo con la rivoluzione dei computer.

La curiosità è stato uno degli elementi principali della sua personalità e della sua azione politica?

Direi certamente di sì. Era eclettico, si occupava pure di cultura, di sport, di moda. Fu presidente della Lega Basket e membro del consiglio di amministrazione di PS1, una delle principali gallerie d’arte di New York.

E come ministro delle Partecipazioni statali?

Scrisse un libro bianco sul tema, la prima vera elaborazione su come quel sistema avrebbe dovuto evolvere in Italia. Aveva l’ambizione di far diventare grande e potente questo Paese.

E le discoteche gli piacevano così tanto?

Per l’epoca era molto trasgressivo, amava ballare con i suoi capelli lunghi. Ma bisogna anche pensare a qual era il ruolo dei socialisti in quella fase politica: di rottura di una schema quarantennale molto paludato. E lui cercava di rompere, appunto. Rispetto a quello che sentiamo oggi sui giornali, comunque, era un frate praticamente. Però rimaneva sempre curioso e dedito allo studio e per questo, visto che gli piaceva ballare, scrisse il libro “Dove andiamo a ballare questa sera? Guida a 250 discoteche italiane“. Ci lavorai anch’io perché mi chiese di fare tutta la parte di elaborazione statistica sul sistema di intrattenimento in Italia.

E quale altro suo libro le viene in mente?

Come guidare l’Italia nel Duemila“, scritto nel 1989 insieme al liberale Carlo Scognamiglio, che era un suo grande amico al pari di Renato Altissimo. De Michelis aveva l’ambizione di legare la cultura socialista e quella libera.

E all’improvviso però, con tangentopoli, tutto finì. Come lo visse De Michelis?

Molto male naturalmente. Si sentì umiliato da una gogna mediatico-giudiziaria assolutamente insopportabile, soprattutto per una persona come lui che così tanto aveva dato al suo Paese.

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