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I cittadini non votano perché cambiano i governi e non la loro vita. Parla Prezworski

elezioni europee,Abruzzo

Chi ce lo fa fare? Chi ci fa alzare una mattina, prendere l’auto o il bus, metterci in fila e infilare una scheda dentro a uno scatolone di cartone? È la domanda che seduce sempre più elettori in Europa. I numeri da capogiro sull’astensione parlano da sé, e se i sondaggi non mentono le prossime elezioni europee daranno un’amara conferma del trend. Adam Prezworski, professore di Scienza politica alla New York University, tra i massimi studiosi al mondo di elezioni, ha piazzato questa domanda sulla copertina del suo ultimo libro: “Perché disturbarsi a votare?” (Università Bocconi Editore, 192 pagg.; 16 euro), aperto dalla prefazione di Nadia Urbinati. Lo abbiamo incontrato a Roma, a margine della presentazione alla Treccani. “Perché le persone non votano? – ci risponde mentre si accende un sigaro cubano – è più semplice di quanto pensi”.

Adam Prezworski, qual è la risposta alla domanda che campeggia in copertina?

Le elezioni servono a risolvere i conflitti e a tutelare la libertà e la pace sociale.

Lei ha le idee chiare. Però sempre più gente resta a casa e non va alle urne. Perché?

Qui c’è il senso del mio libro. La gente comincia a chiedersi: il gioco vale la candela? Seguo la politica, vado a votare, magari partecipo anche a una marcia, i politici vengono eletti e la mia vita non cambia di una virgola.

Ma non è che le persone non vanno più a votare perché sanno che le decisioni non vengono più prese in Parlamento?

Vero, c’è anche questo aspetto. Il benessere economico del futuro di una società dipende dalle scelte delle aziende private, ogni governo prima di decidere deve valutare gli effetti sulla massimizzazione del profitto di queste imprese. Le elezioni risentono sempre del potere che il denaro, le lobbies e le multinazionali hanno sulla politica.

Come se ne esce?

A nessuno piace essere governato, sentirsi dire cosa deve o non deve fare. Nella visione ottocentesca dell’autogoverno ci saremmo tutti governati vicendevolmente, associandoci ma senza perdere alcuna libertà. La verità è che le stesse elezioni si concludono con l’affermazione della volontà di una maggioranza su una minoranza, anche le democrazie devono fare i conti con il conflitto sociale. L’unico modo per vivere insieme è la legge, cioè accettando alcune costrizioni.

A proposito di democrazia, è davvero il migliore dei sistemi possibili?

Tutto dipende dai criteri di giudizio. Se una società considera l’ordine il valore più alto, allora una democrazia non è il sistema adatto. Se invece una società ha a cuore la libertà individuale e la pace sociale, allora è senz’altro il sistema migliore. 

Internet è un rischio o una garanzia per la democrazia?

Entrambe le cose. Fin dagli scritti di liberali classici come John Milton e John Stuart Mill abbiamo creduto che avere fonti di informazione alternative fosse illuminante, che saremmo stati cittadini migliori se avessimo avuto accesso a più fonti. Internet ha portato questa idea all’estremo, mostrandoci l’altro lato della medaglia: la disinformazione.

Si torna sempre lì: le fake news.

Non mi appassiona tanto il dibattito sulle fake news. Fake news è un’espressione ambigua: quel che è fake per una persona, non lo è per un’altra. Pensiamo alle cospirazioni. Smentirle è difficile almeno quanto confermarle, perché i cospiratori sono sempre pronti ad accusare un capro espiatorio di nascondere intenzionalmente una presunta verità.

Quindi di cosa parliamo?

Il fenomeno che ben spiega il comportamento degli elettori sul web ha un altro termine tecnico: ragionamento motivato di parte. Gli elettori sono recettivi a diversi tipi di informazione, soprattutto a quelle che confermano i loro pregiudizi. Internet ha ampliato questo fenomeno.

In Italia il Movimento Cinque Stelle ha scommesso tutto su internet. Grillo e Casaleggio hanno un pallino chiamato democrazia diretta. È questo il futuro?

Credo ci sia una diffusa percezione, non solo in Italia, che le tradizionali istituzioni rappresentative non stiano più funzionando bene. Il risultato è che sotto il cappello della cosiddetta “democrazia diretta” viene proposto qualsiasi tipo di innovazione istituzionale.

Ad esempio?

Il primo, e il più comune, è il referendum di iniziativa popolare. Un’altra forma che prende piede, un po’ più bizzarra, è quella della “para-legislazione”. Viene selezionato casualmente un gruppo di cittadini cui viene fornito tutto il materiale a disposizione del Parlamento, per poi dibattere di un argomento e formulare proposte di legge che si presuppone rispecchino l’opinione pubblica. Una terza innovazione che personalmente apprezzo è stata sperimentata alle ultime elezioni francesi. Le schede bianche vengono conteggiate e nel momento in cui ottengono la maggioranza relativa le elezioni vengono ripetute con candidati diversi. Ad ogni modo non credo che alcuno di questi strumenti possa rimpiazzare la democrazia rappresentativa.

I Cinque Stelle la pensano in maniera diversa. Molte delle loro decisioni al governo vengono prima sottoposte al voto online degli iscritti.

Questa è la democrazia del sondaggio. Non puoi governare un Paese così. Affidare a un referendum qualsiasi scelta sulla vita pubblica di una Nazione, dalle tasse alla spesa passando per i sussidi, è semplicemente folle.

Le elezioni europee si avvicinano. Ci fa un pronostico?

Temo che in molti Paesi i movimenti anti-europeisti porteranno alle urne molte più persone dei partiti tradizionali. Non sarei sorpreso se questa tendenza euroscettica dovesse aumentare. Certo, rimane il paradosso di questi partiti che hanno passato il tempo a dare addosso all’Ue e alle stesse elezioni europee. Cosa faranno a Strasburgo una volta che i loro saranno eletti?

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