L’INVIO DI UNITA’ MILITARI USA IN MEDIO ORIENTE
Alcune navi, compresa almeno una petroliera saudita, avrebbero subito “un sabotaggio” domenica mentre si trovavano al largo di Fujairah, porto degli Emirati Arabi Uniti sul Golfo dell’Oman. I tanker sauditi sarebbero due, uno dei quali pare fosse in rotta verso l’Arabia Saudita per caricare greggio a Ras Tanura da consegnare negli Stati Uniti, stando a quanto riferito dalla SPA, agenzia stampa del regno. Non ci sono state vittime, né versamenti in mare, ma le due navi hanno subito ingenti danni alle strutture.
In una dichiarazione, il ministero degli Esteri emiratino ha detto che è in corso un’indagine sull’incidente “in collaborazione con enti locali e internazionali”, ma non è stato diffuso niente di più specifico a proposito di quello che è stato definito “un sabotaggio”: “La comunità internazionale (deve) assumersi le proprie responsabilità per impedire a qualsiasi parte di tentare di minare la sicurezza e la sicurezza del traffico marittimo”, dice il governo di Abu Dhabi.
La storia non è ancora per niente chiara, si parla di esplosioni a bordo, ma non sono state rese pubbliche immagini o dettagli per testimoniare l’accaduto. Mancano anche informazioni sulle dinamiche, e ovviamente quelle sui responsabili. Azioni provocatorie, false flag, attività clandestine? Si susseguono ipotesi e complotti in attesa che gli inquirenti diffondano qualcosa di più.
Tutto perché da una decina di giorni gli Stati Uniti hanno aumentato la sicurezza nella regione, inviando ulteriori unità militari in Medio Oriente, dopo aver ricevuto un report di intelligence che metteva in guardia sulla possibilità che gli interessi americani e degli alleati americani nell’area potessero finire sotto attacco.
Emirati e Arabia Saudita sono le due forze regionali che spingono Washington nell’ingaggio severissimo nei confronto dell’Iran: sono nemici esistenziali di Teheran dal punto di vista ideologico, ma soprattutto sono in forte competizione con la Repubblica islamica sia dal punto di vista dell’influenza politica da esercitare nell’area che sotto l’aspetto economico e commerciale incentrato sulle materie prime energetiche.
LO SCONTRO CON TEHERAN
Nelle scorse settimane, gli Stati Uniti hanno alzato il complessivo insieme di sanzioni contro le esportazioni petrolifere iraniane, eliminando il meccanismo di esenzione che aveva permesso a Teheran di tenere vivi una parte dei flussi nonostante l’uscita statunitense dall’accordo sul programma nucleare del 2015 che aveva permesso all’Iran di riaprire certi asset.
Gli iraniani, in rappresaglia, avevano minacciato di chiudere lo Stretto di Hormuz, snodo nevralgico per le rotte che scendono dai paesi settentrionali, in cui passa il 20 per cento del petrolio che circola nel mondo. La strozzatura – che la US Energy Information Administration definisce “il più importante checkpoint di transito del petrolio del mondo” – stringe il Golfo Persico poco a nord di Fujairah (che a sua volta è il centro di diffusione del petrolio emiratino e un hub commerciale strategico).
Teheran teneva una linea che più o meno diceva: se non possiamo esportare noi, allora faremo un blocco navale davanti Bandar Abbas, porto sullo stretto, per chiudere tutti i transiti. Era un’affermazione propagandistica uscita a caldo di cui poi non s’è saputo più nulla.
Giovedì scorso, le autorità statunitensi che si occupano di monitorare i traffici marittimi (considerati, soprattutto sugli stretti, cruciali per la proiezione internazionale americana, secondo i principi della talassocrazia) avevano messo in guardia sul fatto che le rotte commerciali potessero essere oggetto di azioni iraniane o dei gruppi armati collegati. “Dall’inizio di maggio, vi è una maggiore possibilità che l’Iran e/o i suoi delegati regionali possano agire contro gli interessi degli Stati Uniti e dei partner, compreso sulle infrastrutture di produzione petrolifera, dopo aver recentemente minacciato di chiudere lo Stretto di Hormuz”, scrive il warning diffuso da Washington.
Va sottolineato comunque che per il momento non ci sono state né ricostruzioni che collegano all’Iran quello che è successo, né tanto meno rivendicazioni di qualche genere. Tuttavia, sottolineando il rischio regionale, il segretario generale del Consiglio di cooperazione del Golfo, Abdullatif bin Rashid al-Zayani, ha descritto il presunto sabotaggio come una “grave escalation” in una dichiarazione di sorpresa.
Qualche ora prima, una vicenda simile è stata al centro della guerra mediatica che caratterizza continuamente le dinamiche del Golfo e che è particolarmente attiva in questa delicata fase di confronto tra Stati Uniti e Iran. Al-Mayadeen, canale satellitare di (dis)informazione che fa da outlet propagandistico al gruppo libanese Hezbollah, legato a doppio filo con i Guardiani della rivoluzione iraniana, citando “fonti del Golfo” aveva falsamente riferito che una serie di esplosioni avevano colpito sette petroliere nel porto di Fujairah.
Dichiarazioni raccolte immediatamente da diversi siti iraniani vicini alle posizioni politiche più conservatrici, e dal russo Sputnik, facendo circolare foto di una nave in fiamme, ma su Twitter l’immagine era stata rapidamente smentita perché risaliva al 2012. Successivamente l’Associated Press, dopo aver parlato con funzionari e testimoni locali emiratini ha definitivamente scoperto che le notizie su quelle esplosioni nel porto non è erano vere.