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Il pessimismo della Commissione ha solide radici. Ma la politica italiana parla d’altro

È andata più male del previsto. Alla vigilia ci si aspettava una valutazione critica della situazione italiana, considerato anche il fatto che nelle precedenti analisi (febbraio 2019) tutto era stato fortemente ridimensionato, ma gli esisti sono stati ancora peggiori. Non è bastato quindi ridurre il tasso di crescita, per l’anno in corso, dall’1,2 per cento (autunno del 2018) allo 0,2 (febbraio 2019). Ancora una volta l’asticella è stata dimezzata. Se tutto andrà bene, l’economia italiana quest’anno crescerà solo dello 0,1 per cento, collocandosi all’ultimo posto tra i Paesi dell’Eurozona. Con una distanza incolmabile nei confronti di quell’1,2 per cento che ne rappresenta la media relativa dell’Eurozona. Una differenza che ci riporta al 2012, quando lo scarto tra il treno europeo ed il convoglio italiano fu dell’1,9 per cento. Andrà forse meglio l’anno successivo (più 0,7 per cento). Ma chi può dirlo?

I LIMITI DELLA POLITICA ECONOMICA ITALIANA

Le intemerate di Luigi Di Maio che, dagli stabilimenti l’Avio Aero di Pomigliano d’Arco (Na), inneggiava alla fuoriuscita dell’Italia dal cono d’ombra della recessione, deridendo “le previsioni dei più catastrofistici”, si sono dimostrate quelle che erano. Una piccola sbornia propagandistica ad uso e consumo dei più stretti militanti. Il resto degli italiani, invece, fermi nel loro scetticismo, misurato dal grado di fiducia delle imprese e dei consumatori in progressiva caduta, è stato costretto a prendere atto di una cosa che già avevano avvertito sulla propria pelle. Quel senso di incertezza che i dati della Commissione europea confermano e razionalizzano, nella prospettazione dei limiti e delle incongruenze di una politica economica che ha avuto la capacità di rovesciare, nello spazio di qualche mese, il trend precedente.

I VALORI DEL DEFICIT DI BILANCIO

Basta guardare ai valori del deficit di bilancio. Nel 2018 si era passati dal 2,4 per cento al 2,1. La previsione per l’anno in corso sarà pari al 2,5 per cento. E nel 2020 si raggiungerà addirittura il 3,5 per cento, se non si troveranno i soldi – cosa improbabile – per evitare l’aumento dell’Iva e delle accise. Che, invece, come tutto sembra congiurare, sarà sterilizzato peggiorando il disavanzo pubblico. Scelta eventuale, ma destinata a pesare enormemente sulle prospettive di medio periodo. In questo caso infatti, il deficit strutturale corretto per il ciclo (che secondo le regole del Fiscal compact dovrebbe tendere a zero) aumenterebbe dal 2,25 per cento al 3,5 per cento.

Cadrebbe così l’alibi finora sbandierato dal ministro dell’economia, Giovanni Tria: secondo il quale l’importante era conservare inalterato quel valore. Dopo di che l’eventuale peggioramento dei conti pubblici sarebbe stato imputabile solo ad una cattiva congiuntura che la ripresa della crescita avrebbe ridimensionato. Ipotesi che, nonostante i vari decreti e gli sbandierati effetti positivi del salario di cittadinanza e di Quota 100 per le pensioni, non sembra essere all’orizzonte. Conseguenza ultima di questo stato di cose: una forte crescita del rapporto debito – Pil che raggiungerebbe quota 132,2 alla fine dell’anno in corso e addirittura il 135,2 per cento nel 2020.

Sarebbe un record assoluto in tutta la lunga storia italiana. Il livello più alto del rapporto debito – Pil fu raggiunto nel 1920, all’indomani della Grande Guerra, con una percentuale pari al 125 per cento. Dopo 100 anni, il salto sarebbe di oltre 7 punti. Va bene che l’Italia può essere paragonata a quel calabrone che, nonostante la sua forma fisica, riesce a volare. E che quindi ha dimostrato di saper convivere con un debito pubblico che altrove avrebbe ucciso un rinoceronte. Ma il troppo, alla fine, è troppo anche per un fisico bestiale. Ed i risultati si vedono nell’afasia in cui è sprofondata.

LE CONTRADDIZIONI: INVESTIMENTI VS CONSUMI

Il pessimismo della Commissione ha quindi solide radici. Alla base di tutto è la mancanza di una reale politica di sviluppo, ogni volta distratta dalle esigenze più varie. Non che non siano giustificate. Ma si dice che il medico pietoso faccia la piaga verminosa. Ed è quello che sta capitando al paziente italiano. Troppi gli elementi in aperta contraddizione. Il primo – sottolineato più volte dalla Commissione – si può riassumere nel conflitto “investimenti vs. consumi”. I primi sono da troppo tempo in caduta libera, mentre i secondi sono alimentati da politiche – si pensi solo al reddito di cittadinanza – che gravano sulle finanze pubbliche, ma non hanno alcun effetto moltiplicativo. Tutti i calcoli immaginati in fase di predisposizione del relativo disegno di legge si sono dimostrati fallaci. E la Commissione non ha esitato a metterlo in evidenza.

CONSUMI VS OCCUPAZIONE

Una seconda contraddizione è data dal rapporto “consumi vs occupazione”. I primi aumentano leggermente, per effetto delle politiche ridistributive in deficit, della caduta dei prezzi del petrolio (nonostante qualche temporanea ventata rialzista), della crescita seppur modesta del reddito degli occupati. In compenso il tasso di disoccupazione, a causa del crollo degli investimenti e della limitata crescita del Pil, è destinato ad aumentare. Le previsioni parlano di un 11 per cento alla fine del 2019. C’è poi un risvolto quasi surreale. Nelle valutazioni della Commissione il tasso di disoccupazione è destinato ad aumentare anche a causa del reddito di cittadinanza. Il sussidio di stato spinge infatti gli inattivi a collocarsi sul mercato del lavoro, non tanto per occuparsi, ma per ricevere l’agognato compenso. E questo fa lievitare il tasso di disoccupazione.

LE CONSEGUENZE

C’è solo da sperare che la situazione internazionale non peggiori e che gli spread sui titoli di Stato non aumentino, per cause anche indipendenti dal tran tran italiano. Avrebbero un impatto immediato sulla dinamica dei tassi di interesse e sull’erogazione del credito a favore delle imprese, con un effetto recessivo ancora più forte. Come indicato dall’ultimo Rapporto sulla stabilità della Banca d’Italia. Comunque, al di là del guadare in una sfera di cristallo che nessuno possiede, resta un fatto, fin da ora, incontrovertibile. L’Italia continua a vivere d’esportazioni verso l’estero. Con un saldo delle partite correnti della bilancia dei pagamenti pari al 2,5 per cento del Pil, anche per i prossimi anni. Ed un risparmio interno che la Commissione valuta in 45 miliardi per il 2019 ed il 2020. Che, come al solito, a causa delle carenze della politica economica, prenderà la via dell’estero. In quel grande spreco che nessuno vuol vedere.

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