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Porto franco o deposito illegale della Jihad? Il caso Yves Bouvier

Porto franco o deposito illegale della Jihad? L’impero del portofranco (freeport) di Yves Bouvier, commerciante d’arte svizzero molto chiacchierato e già arrestato in passato, potrebbe essere coinvolto nel traffico di antichità dell’ISIS?

La domanda sorge dopo che le sue basi a Singapore e Ginevra secondo gli investigatori e molti articoli apparsi sulla stampa di mezzo mondo potrebbero essere state usate per custodire antichità rubate. Si tratterebbe di tesori e reperti di vario genere illegalmente spostati dai musei iracheni e siriani e adesso nascosti in casse di legno su misura che sono in attesa di essere piazzate sul mercato nero.

Le recenti stime mostrano che ISIS ha incassato tra i 4 e i 7 miliardi di dollari dal commercio illegale di antichità usando i freeport. Il denaro è stato utilizzato per finanziare unità militari legate direttamente all’ISIS e quindi portare a termine attacchi terroristici in tutto il mondo.

Ma chi è Yves Bouvier? Ha carichi pendenti in Svizzera, Francia e Monaco. Le autorità svizzere lo accusano di evasione fiscale per 165 milioni di dollari. I suoi ex clienti in tutto il mondo lo stanno perseguendo per presunta frode di opere d’arte del valore di oltre 1 miliardo, tra cui spicca la figliastra di Picasso ha accusato Bouvier e il suo socio Olivier Tomas di aver rubato dipinti.

Ma non è tutto, perché il nome di Bouvier compare anche in un altro dossier. Lo scorso anno alcuni paesi dell’Ue sono stati coinvolti in una serie di operazioni di riciclaggio di denaro, un giro da 230 miliardi di euro, per funzionari russi e azeri, fatto che ha provocato anhe la reazione di Bruxelles, pronta ad una linea durissima contro i crimini finanziari e la corruzione. Proprio all’interno delle nuove politiche europee più rigorose è emerso il caso dei freeport, che di fatto sono un particolare tipo di zone esentasse in cui sono conservati beni di alto valore come appunto le opere d’arte, vini rari e perfino lingotti d’oro.

Tra di essi spiccano il freeport lussemburghese (di proprietà di Bouvier) e il cosiddetto “Azerbaijani landromat”, vettore da 3 miliardi di euro, i cui denari sono stati parzialmente utilizzati per “accompagnare” i membri della Pace (Parliamentary Assembly’s Council of Europe) impegnati a fornire report positivi sui diritti umani in Azerbaijan e con quelle revisioni positive segnalarlo come un luogo favorevole per investire.

Nel 2016 presso il freeport di Ginevra (partecipato da Yves Bouvier) vennero rinvenuti anche reperti italiani, di inestimabile valore: si trattò di un assortimento di vasi in terracotta e decorati, busti, bassorilievi e frammenti di affreschi sottratti a Pompei oltre ad una varietà di manufatti saccheggiati dall’antica città etrusca di Tarquinia e altri siti archeologici in Umbria e Lazio.

Un dettagliato paper è stato consegnato al presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, secondo cui i freeport “potrebbero consentire il riciclaggio di denaro semplicemente perché eludono le norme internazionali standard sulla trasparenza”. Per comprederne il giro di affari dei beni custoditi, si calcoli che il solo Freeport di Ginevra detiene opere per un valore superiore ai 100 miliardi di dollari.

Lo scorso mese di marzo il Parlamento europeo aveva deciso di normare tutti i freeports all’interno dell’Ue per combattere i casi di riciclaggio e di evasione, ma Juncker ha ignorato questa proposta. Lecito chiedersi ora se dopo il 26 maggio il Parlamento europeo, di nuova nomina, affronterà il nodo.

twitter@FDepalo



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