Skip to main content

Chi vuole i voti moderati ricordi la lezione di Cossiga

sinistra

Dopo ogni appuntamento elettorale le analisi dei flussi si concentrano anche sui voti moderati, il mitico “centro”, cercando di spiegare se e come quella categoria di elettori ha votato o se si è astenuta. Anche dopo le recenti elezioni europee chi si lecca le ferite e chi pensa di aver intrapreso la strada giusta sta già ragionando sul come agguantare quei moderati che da sempre in Italia hanno deciso i destini politici.

IL “TRATTINO” DI COSSIGA

Le ideologie non sono morte, sono i partiti ad avere cambiato nomi, felpe e programmi. Vent’anni fa, quando la politica era decisamente più ragionata, divenne famosa la polemica sul “trattino” che per Francesco Cossiga cambiava tutto. Il primo governo D’Alema (una creatura di Cossiga) era in crisi e in un’intervista a Stefano Folli sul Corriere della Sera del 7 novembre 1999 l’allora presidente emerito della Repubblica disse: “Ero e resto convinto che il centro-sinistra vince solo se è alleanza tra un centro riformatore e una sinistra moderna. Insomma se è un centro-sinistra con il trattino. Senza trattino diventa rapidamente un sinistra-centro, soggetto all’egemonia dei postcomunisti. E poi il sinistra-centro si trasforma in sinistra tout court”. Un ragionamento che avrebbe diritto di cittadinanza anche oggi, tanto che nel Partito democratico si sta già ragionando, cioè litigando, sul da farsi. Carlo Calenda ha buttato il cuore oltre l’ostacolo spiegando in un’intervista alla Repubblica che sarebbe pronto a trasformare in partito il suo movimento Siamo Europei come forza liberaldemocratica di centro che dovrebbe allearsi con il Pd, un progetto da portare avanti solo se ci sarà un accordo con lo stesso Partito democratico al quale lui è attualmente iscritto.

LE MOSSE DI RENZI

Calenda è stato il più votato tra i candidati democratici con oltre 276mila preferenze ed è uno di quelli che cerca di stanare Nicola Zingaretti più propenso a guardare a sinistra. Nel Pd risuonano concetti tipo “allargamento” e “coalizione plurale”, politichese che si scontra con le intenzioni di Matteo Renzi sconosciute ai più. La decima edizione della Leopolda, dal 18 al 20 ottobre, che l’ex presidente del Consiglio ha annunciato nell’ultima enews sarà forse un momento chiave, vista anche l’insistenza nell’organizzare i suoi comitati civici. Prima di allora si riuniranno le correnti renziane di Roberto Giachetti e della coppia Luca Lotti-Lorenzo Guerini: Renzi certo non si è sperticato in lodi sui risultati elettorali di Zingaretti parlando di “buon pareggio” per il secondo posto analogo a quello di un anno fa e se dovesse fare la scissione per inseguire il suo nuovo progetto i voti moderati sarebbero i primi da conquistare, voti che in un’altra epoca tentava di conquistare la Margherita e che prima ancora erano patrimonio della Dc.

LE IDEOLOGIE NON SONO MORTE

Chi non ha un’ideologia come il Movimento 5 stelle sta vivendo una fase stile “The day after”, quasi un’apocalisse nucleare. Le ideologie non sono morte perché Zingaretti, Marco Rizzo o Nicola Fratoianni sono e restano di sinistra pur con diverse sfumature di rosso e perché Giorgia Meloni è passata da Giorgio Almirante a (lei sostiene) Charles De Gaulle. Dal canto suo, Silvio Berlusconi ha problemi di cannibalizzazione interna mentre i voti sono scesi: nei suoi governi era Forza Italia la parte moderata rispetto alla Lega di Umberto Bossi e ad Alleanza nazionale di Gianfranco Fini, oggi invece non si sa chi vincerà nella lotta intestina. Resta Matteo Salvini, il trionfatore delle elezioni europee che di certo non ha usato toni moderati negli ultimi mesi e che ora punta a modificare i parametri di Maastricht come se un trattato internazionale possa essere cambiato in pochi mesi. Qualche testata sovranista già gli attribuisce il compito di raccogliere l’eredità dei moderati: forse un giudizio troppo ottimistico anche se l’esasperazione di molti cittadini legata all’immigrazione ha giocato un ruolo decisivo e D’Alema, intervistato dalla Repubblica, sostiene che il problema non sono i moderati, che già voterebbero per il Pd, quanto le periferie.

Va sempre ricordato che alle europee ha votato solo il 56,1 per cento degli elettori: se alle prossime elezioni politiche si ripetesse il 72,9 dell’anno scorso potrebbe cambiare qualche equilibrio e le mosse di tutti i protagonisti nei prossimi mesi potrebbero convincere o meno i moderati più riottosi. Senza dimenticare che il primo governo D’Alema cadde proprio per quel trattino.



×

Iscriviti alla newsletter