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Salvini e il richiamo della foresta (a destra)

Salvini, senaldi

Quando oggi saranno ufficiali i risultati del Piemonte saremo di fronte alla settima vittoria consecutiva del centrodestra nelle elezioni regionali (Friuli, Trentino, Abruzzo, Molise, Basilicata e Sardegna), cioè un record di cui non vi è traccia negli anni precedenti per nessuna parte politica. Quindi, se vogliamo passare dalla chiacchiere ai fatti, occorre partire da questo dato per guardare oltre il voto delle europee.

Salvini è oggi il soggetto più forte della politica italiana e tra i più forti d’Europa, talmente forte da potersi permettere di tenere il piede in due scarpe, una buona per le amministrazioni locali e l’altra buona per la dimensione nazionale. Però è anche evidente la complessità di fronte alla quale si trova nel rapporto con il M5S, difficoltà che non sarà certo agevolata dai risultati devastanti per Di Maio&company arrivati nelle ultime ore.

Si guardi ai dossier più “caldi” dell’agenda di governo, dalla Tav alla Flat Tax, dalle autonomie regionali alle scelte di bilancio: come potrà il M5S accettare la strategia della Lega senza finire per annullarsi definitivamente nel ruolo di “ancella”? E come potrà Salvini governare con il freno tirato, dovendo fare i conti ogni santo giorno con un alleato in gravissima crisi di consensi ma ancora nettamente più forte di lui in Parlamento?

Per questi motivi (ed in forza dei numeri) torna di attualità in modo prepotente l’area politica di destra (con una spruzzata di centro), peraltro socialmente piuttosto omogenea e nemmeno più squilibrata geograficamente, visto che la Lega è capace di prendere il 44% a Lampedusa.

Ma non c’è solo questo da considerare, c’è anche un’altra impressionante novità di queste ultime ore, cioè il consenso ormai residuale (o poco più) che raccoglie Forza Italia. È cioè ormai evidente, combinando il voto delle politiche del 2018 con quello delle europee di ieri, che non c’è più un centrodestra con Berlusconi in posizione trainante, come invece è stato ininterrottamente dal 1994 all’anno scorso. Quindi possono essere considerate archiviate molte delle battaglie degli ultimi anni, in primis quelle sulla giustizia. E non è cosa da poco, poiché un punto è certo della strategia del leader della Lega: nessun ruolo decisivo in ambito nazionale può essere consegnato al Cavaliere, troppo ingombrante per essere un alleato di governo.

Salvini adesso terrà il punto, ribadendo (come ha già iniziato a fare) che un esecutivo c’è e deve solo fare il suo mestiere, cioè lavorare. Però la forza di attrazione della sua coalizione “naturale” crescerà di mese in mese. Non sarà facile per il Capitano opporsi all’infinito.

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