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L’attacco di Salvini al Papa è un segno di debolezza (di Salvini)

salvini, Lega

L’ORMAI FAMOSA BESTIA

Ho sempre pensato (e da Bobbio e da Sartori) ho imparato che la politica non è solo il luogo dello scontro “amico-nemico” come scritto da Carl Schmitt, giurista nazista, apprezzato anche a sinistra (sovranisti di qualsiasi provenienza compresi). Non so quanto di vero ci sia nell’espressione “molti nemici molto onore”. So, però, che l’oramai famosa Bestia che guida la comunicazione politica di Salvini ha deciso che lo slogan può servire ottimamente a caratterizzare tutta l’attività non soltanto del leader della Lega, ma anche del ministro. È facile dare del nemico a chiunque non condivida le nostre idee. D’altro canto, qualcuno pensa che, invece, di trovarsi dei nemici è preferibile avere degli interlocutori rispetto ai quali dissentire, magari, addirittura, imparando qualcosa per migliorare i propri messaggi, la propria linea politica. Dai tweet e dalle fake news c’è poco da imparare anche se dai primi un po’ di capacità di sintesi si può acquisire e qualche presa in giro può essere brillantemente trasmessa.

L’EFFETTO BOOMERANG

Le bordate di Salvini, direbbero gli esperti di comunicazione politica, hanno avuto successo nel definire e delimitare, persino ampliandolo, il campo dei sostenitori. Adesso, l’aggressione ossessiva e parossistica ai nemici sembra diventare controproducente, ritorcerglisi contro. Affari suoi, ma vediamo perché. Salvini non sarà certamente sconfitto dal papa che predica accoglienza (che non è una misura né di destra né di sinistra, ma di civiltà) e dal suo elemosiniere che accende la luce (fiat lux) per gli occupanti abusivi. Non sappiamo ancora oggi quale sia la risposta giusta alla domanda di Stalin sul numero di divisioni a disposizione del papa. Per stare più vicino a noi, sappiamo, però, che Mussolini andò ai Patti Lateranensi e al Concordato riconoscendo la fortissima presenza cattolica nella società e nelle associazioni in senso lato assistenziali. Sappiamo anche, ma almeno i “consigliori” lombardo-veneti della Lega dovrebbero riferirlo al loro Capitano, che, in via di principio, in quelle zone, i preti sono tutt’altro che pregiudizialmente contrari alla Lega e a non poche politiche leghiste. L’attacco indiretto al papa non può piacere a quei preti, rischia di creare loro alcuni problemi di coscienza, di farne predicatori di una solidarietà che non è proprio il segno prevalente dell’azione di governo del ministro degli Interni.

Il fatto è che, un tempo arrembante e sicurissimo di sé, traboccante autostima, il Salvini si è improvvisamente trovato a fare i conti con un non del tutto imprevedibile, ma cospicuo, calo nei sondaggi. Ha dovuto cedere sul sottosegretario Siri, è diventato nervosetto. Ha deciso di alzare la posta prospettando le elezioni europee non soltanto come un referendum (affermazione sbagliata, ma, almeno in parte comprensibile), ma addirittura come una scelta fra la vita e la morte. I politici assennati sanno che debbono sempre mantenersi una posizione di ricaduta – e Salvini l’avrebbe: rientrare nel centro-destra rivendicandone il ruolo di leader indiscusso. Che Salvini cerchi di drammatizzare è un brutto segno, per lui.

Giusto richiamare il referendum perduto da Renzi, con conseguenze disastrose. Altrettanto giusto ricordare che anche il conservatore David Cameron perse il referendum e la carica di capo del governo, coerentemente uscendo dalla politica. Altro luogo, altro stile, altra classe (ma adesso sappiamo che quel pudding è immangiabile). Qui, invece, c’è da temere (aspettarsi?) che il Salvini nervoso ne spari di più grosse accelerando la morte del governo per salvare la sua vita politica. In questo senso, le elezioni europee potrebbero davvero diventare questione di vita e di morte. Sarebbe cosa buona e giusta.


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