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Lo spread si infiamma e supera quota 260 (non solo per colpa dei dazi)

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Circa 48 ore. Tanto è bastato per per riaccendere lo spread Btp/Bund, il contatore della nostra sostenibilità finanziaria. La settimana che porterà l’Europa ad aggiornare le stime sul nostro Pil (domani) si è aperta con un differenziale infiammato dal nuovo attacco commerciale della Casa Bianca alla Cina, portandosi oltre i 261 punti base, dopo i 253 punti registrati venerdì, in chiusura di seduta.

Dazi o non dazi, lo spread continua a rimanere alto, troppo. L’Italia non riesce proprio ad abbassare il costo in termini di premio promesso al compratore che accompagna ogni Btp piazzato sul mercato. Lo si vede dai rendimenti degli stessi titoli decennali, che questa mattina sono saliti al 2,58% dal 2,55% di venerdì. Non è un caso che proprio nella serata di tre giorni fa Bankitalia abbia stimato in 4 miliardi di euro (qui l’articolo con tutti i dettagli) la spesa che l’Italia dovrà sostenere nei prossimi anni per garantirsi la liquidità sui mercati, tramite sottoscrizione dei titoli emessi.

E questo per un motivo molto semplice. I creditori dell’Italia, ovvero gli investitori internazionali che sottoscrivono 400 miliardi di debito all’anno, chiedono sempre di più per accettare il rischio di prestare denaro a un Paese che sta aumentando la spesa corrente, senza indicare le coperture chiare. Il Def approvato poco meno di un mese fa parla infatti molto chiaro. Nel triennio 2019-2021 ci saranno “maggiori spese complessive per circa 133 miliardi afferenti prevalentemente all’area Lavoro e Pensioni. In particolare, si segnalano gli oneri per l’introduzione del Reddito di cittadinanza e Quota 100″. Questo significa che le due misure bandiera del governo gialloverde, uno del Movimento Cinque Stelle uno della Lega, le casse pubbliche dovranno fronteggiare una spesa aggiuntiva pari al 5,7% del nostro debito pubblico.

E questo senza considerare che, se non ci saranno previsioni al rialzo, nel 2019 il nostro Pil non andrà oltre lo 0,2%. Dunque perché comprare i titoli pubblici di un Paese col terzo debito mondiale, con una spesa prossima all’esplosione e con una crescita tra le più basse d’Europa? Per farlo, è la condizione degli investitori esteri, serve un premio più alto, il quale mantiene lo spread tra i rendimenti italiani e quelli tedeschi molto elevato. Le tensioni commerciali Usa-Cina certamente corroborano tale situazione potenzialmente esplosiva, ma è certo che se lo spread non scende è perché l’Italia continua a scontare gli effetti di una scarsa fiducia verso chi compra i nostri Btp.

C’è un ultimo dato che deve far riflettere e che dà la cifra del problema. Proprio oggi gli analisti di Mediobanca Securities hanno fatto due conti sulle trimestrali delle banche che da domani verranno pubblicate. Ebbene, la previsione è un calo del 20% degli utili rispetto ad un anno fa. E qui la politica, artefice del livello dello spread elevato, ha le sue colpe. Lo dimostra il fatto che solo nel mese di febbraio, secondo i dati di Bankitalia, gli istituti italiani hanno acquistato altri 5 miliardi di Btp, facendo salire il totale in portafoglio del 14% da inizio anno. Più Btp nei bilanci, più esposizione ai danni dello spread.


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