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Lo spread ci dice che l’Italia è vicina alla Grecia

Deve aver proprio ragione Giovanni Tria quando fa questa semplice equazione. Inutile pensare di fare 2 o 3 miliardi in più di deficit se poi dobbiamo pagare 2 o 3 miliardi in più di interessi. Il riferimento nemmeno troppo velato, è allo spread. Quello spread che sta preoccupando gli imprenditori italiani che chiedono denaro in banca a costo maggiorato e che drena risorse preziose che altrimenti si potrebbero impiegare altrove, come ha ricordato proprio oggi il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia (qui l’articolo). Tria ha ragione. Che senso ha racimolare soldi in più con lo sforamento dei parametri Ue se poi quegli stessi soldi devono andare a coprire i premi che lo Stato deve pagare a chi ci compra debito per 400 miliardi all’anno? I numeri raccontano più o meno questo, basta solo fare un piccolo esercizio di calcolo.

A quasi un anno dall’avvento del governo gialloverde il nostro spread si è portato ormai in modo strutturale sopra i 250-260 punti base, con punte fino a 290. Valore che ha avvicinato pericolosamente il nostro debito a quello greco (di un Paese tecnicamente fallito cioè), che oggi è a 340 punti base sul Bund tedesco. Solo 70 punti base, o poco più, separano il nostro spread Btp/Bund con quello tra titoli greci e tedeschi. Ma la gravità della situazione emerge più che altro dal confronto tra il rendimento del Btp italiano a dieci anni e quello degli altri Paesi.

Oggi il nostro titolo ha un rendimento del 2,64%, valore non troppo lontano da quello dell’omonimo greco attestato al 3,4%. Ma è la differenza con gli altri Paesi che colpisce. Il titolo di riferimento, il Bund tedesco a 10 anni, rende lo 0,08%, oltre due punti percentuali e mezzo meno del nostro. E gli altri? Lo 0,23% l’Austria, o,4% il Belgio, lo 0,31% la Francia, l’1% il Portogallo, lo 0,87% la Spagna, l0 0,1% l’Olanda e lo 0,5% l’Irlanda. Non stupisce dunque che lo spread Spagna/Germania stia a 98 punti base mentre quello portoghese a 110.

Conclusioni? Risulta evidente dunque che mentre i principali Paesi dell’Eurozona hanno in questi mesi ridotto il costo della sostenibilità del loro debito, l’Italia invece questa spesa l’ha aumentata. Da un punto di vista di finanza il nostro Paese è molto più vicino a uno Stato che ha truccato i suoi conti pubblici. Nota bene, tra giugno e luglio il Tesoro dovrà collocare 64 miliardi di titoli. Ma a che prezzo?


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