Il dibattito post-elettorale ha visto un ritorno della discussione sul cattolicesimo e la politica. Da una parte si è sottolineato come la Lega richiami temi e parole care al cosiddetto tradizionalismo cattolico, dall’altra ci si è soffermati sull’uso di simboli religiosi in campagna elettorale. Ma sono emerse delle novità poco notate. Così diventa di particolare rilievo l’opinione dello storico del cristianesimo, per cogliere il valore profondo e i richiami anche antichi di alcuni temi. Ne abbiamo parlato con il professor Daniele Menozzi, uno dei più autorevoli professori di Storia del Cristianesimo, docente alla Normale di Pisa.
Professore, forse in questa discussione emergono dei cambiamenti che merita notare. Per esempio il cardinale tedesco Gerhard Müller, recentemente Prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede, uno dei critici di Papa Francesco, ha dichiarato che “non si può negare la fede religiosa a chi milita in un partito”. Questo colpisce chi ricorda la scomunica dei comunisti. Al Sant’Uffizio cominciano a pensare che fu un errore? A questa domanda il professor Menozzi risponde sorridendo, ma richiamando l’attenzione su un altro passaggio.
Lui ha avuto un rapporto complesso con la Teologia della Liberazione, la novità è significativa, ma il punto per me è altrove. Il cardinale afferma che il Concilio Vaticano II parla di neutralità della Chiesa rispetto alla politica e parla di autonomia della politica. Non è così. I documenti conciliari, Müller forse lo ha dimenticato, parlano di “giusta autonomia”, guidata dai “principi etici”. Il cardinale che ha passato tanti anni alla Congregazione per la Dottrina della Fede dovrebbe ricordare bene che i monarchici dell’Action Francaise, guidata da un agnostico, proclamavano e invocavano l’autonomia della politica dalla religione: ma nel 1926 Papa Pio XI li condannò, escludendo che ci potesse essere una politica sganciata dall’etica. Un grande nome del cattolicesimo non solo francese, Jacques Maritain, scrisse un libro che non posso immaginare dimenticato: “Lo spirituale viene prima del politico”. Tutto questo appartiene al passato pontificio, lo ritengo bene noto nei sacri palazzi.
Beh, forse lì ci si aggiorna, può esserci un ravvedimento rispetto a trascorse rigidità. Per esempio proprio il cardinale Müller, che non ha risparmiato critiche al Papa per le aperture su quelle che venivano definite famiglie irregolari, ora dice che non si possono chiudere le porte. È il linguaggio di Francesco, della Chiesa in uscita.
Sarebbe interessante, ma penso che per loro questo discorso si applichi alla politica ma non alle questioni sulla famiglia, che vedono, non so perché, iscritte nel Vangelo. Se vuole vedere novità forse le troviamo lì dove il cardinale dice che “possiamo ammonire ma non ostracizzare”. È chiaro che ritenendo i temi della famiglia iscritti nel Vangelo qui si parla di temi politici. Ma dove sta il confine tra ambito etico e ambito politico? È un tema che alla Congregazione è caro. La Congregazione ha tendenzialmente sempre ritenuto che è la Chiesa a definire i confini dell’ortodossia. Ecco perché i confini tra ammonire e ostracizzare li stabilisce la suprema autorità autorità ecclesiale, cioè il Papa.
Bene, però il cardinale ha detto di preferire che i simboli religiosi non siano usati dalla politica. Forse lo ha detto perché ricorda che il rosario fu diffuso ai tempi della battaglia di Lepanto e di questi tempi usarlo in piazze politiche può essere equivocato.
Sul rosario mostrato ai comizi bisogna però essere chiari, perché usare questi simboli senza preoccuparsi del significato che hanno assunto nel corso del tempo significa attingere agli strati tradizionalisti e anticonciliari della religiosità popolare. Si è dovuto attendere il Concilio per restituire al rosario valori radicati nel Vangelo. Questioni rilevanti e profonde del rapporto tra fede e politica, che richiedono chiarezza sul passato e sul presente.