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Un errore la polemica Salvini-Trenta, no a guerre politiche sulla Difesa. Parla Mauro

È stato ministro della Difesa con il governo Letta tra il 2013 e il 2014 e, proprio essendo stato titolare di Palazzo Baracchini, Mario Mauro, oggi candidato alle elezioni europee, chiede di non lucrare sulla Difesa. Alla luce della recente polemica tra il ministro Elisabetta Trenta e il ministro Matteo Salvini, Mauro si appella al buon senso delle istituzioni. Difatti, stando alle parole del senatore, le recenti tensioni in capo al governo non possono che costituire un problema per l’Italia, soprattutto considerate le recenti tensioni nel quadro internazionale. Lo scontro è nato durante le celebrazioni del 25 aprile a Viterbo per l’abbandono della cerimonia da parte del generale Riccò. Poi le punture e le provocazioni tra i due componenti del governo sono proseguite via social.

Sabato, in seguito a una notizia infondata di un intervento della Marina per soccorrere alcuni pescherecci italiani nelle acque libiche, il ministro della Difesa Trenta aveva scritto un tweet di complimenti, che ha poi eliminato. La risposta non si è fatta attendere, con alcune fonti del Viminale che hanno polemizzato per la condotta della Trenta invitandola a concentrarsi sulle proprie Forze Armate invece che sul ministro Salvini. Dopo questo nuovo dibattito, la tensione tra le forze del governo sembra essere cresciuta ulteriormente. In questo contesto, per l’ex ministro bisogna avere “grande considerazione per la passione che i nostri uomini mettono nel loro lavoro. Avere grande attenzione per la formazione, ma al tempo stesso impegnarsi affinché abbiano il meglio delle tecnologie disponibili e soprattutto che siano capaci, nel rapporto con le istituzioni, di sviluppare quella strategia di sicurezza e convivenza civile”.

Che lettura dà delle polemiche nate tra Salvini e Trenta?

La mia osservazione è che l’errore principale sia stato quello d’innescare una polemica. Le Forze Armate sono istituzioni della Repubblica, per cui il fatto che vengano prese in ostaggio da una guerra di posizionamento politico costituisce un chiaro tentativo di lucrare una rendita politica. È un errore essenziale per la sopravvivenza stessa delle istituzioni e per la loro credibilità in quanto, pur concedendo il beneficio della buona fede a tutti coloro che ricoprono il ruolo politico, rimane comunque l’errore. Una condotta di questo tipo confonde la messa a fuoco di strategie congrue per l’uno e per l’altro ministero. Un tentativo di imporre un’egemonia su un assetto della Repubblica che rimane un assetto istituzionale.

Crede che forse bisognerebbe occuparsi di altro? Visto che tra le altre priorità della Difesa: è stato certificato un calo dell’export militare; il budget per le spese militari del 2019 è diminuito; l’Italia ancora non si è espressa su programmi europei importanti per il futuro e ancora non c’è un decreto per le missioni militari all’estero…

L’Italia non ha materie prime, rimane un grande Paese manifatturiero, ma si trova in una circostanza di carattere storico, politico e geografico che richiede un’apertura per il futuro più significativa di quella che è stata operata negli ultimi anni. Il suggerimento è di offrire un riferimento strategico per i propri alleati tradizionali. Ovvero avere un programma molto serio d’investimento tecnologico, finalizzato nel concreto allo sviluppo del personale e degli armamenti. Da ogni punto di visto, anche in forza delle difficoltà nel Mediterraneo, è necessario che l’Italia si rafforzi e che mantenga nei propri organici un certo livello d’efficienza. Non si tratta solo di inserire più soldi nel bilancio. I soldi che vanno in bilancio, che sono il fulcro delle richieste della Nato e degli alleati, della necessità di generare una difesa europea, altro non sono che figli di questa situazione. L’Italia deve operare una concreta osservazione dei fatti, e questi ci suggeriscono che dopo anni, due portaerei sono rientrate nel Mediterraneo, si sono disposte di fronte al fronte libico e fanno ancora d’interdizione per la presenza russa e cinese in quello che doveva essere il mare nostrum, questa è sicuramente una questione molto concreta di cui occuparsi. Le pressioni jihadiste nel deserto algerino in Mali; la situazione in Niger, senza parlare della crisi siriana, ci dicono che l’area del Mediterraneo e del Medio Oriente, senza trascurare i Balcani, saranno determinanti per gli scenari futuri. L’Italia incrocia naturalmente tutti questi scenari, per questo deve essere non solo preparata, ma anche capace, quasi profeticamente, di leggere i tempi futuri, disponendo le proprie risorse e i propri uomini migliori in questo contesto. Meglio lì gli uomini migliori che non a fare le guardie nella capitale.

La ragione del tirare per la giacchetta le Forze Armate da parte della politica secondo lei c’entra con il fatto che la Difesa trova giustificazione presso l’opinione pubblica con attività non riconducibili alla Difesa in senso stretto (fini sociali o le attività come Strade sicure… ecc.), perdendo di contenuto?

C’è un vecchio equivoco, quando si parla di difesa c’è sempre la tendenza a strumentalizzare quello che oggi viene definito il “dual use”, ovvero la possibilità d’impiegare assetti tipici della Difesa in contesti non necessariamente militari, ma in altri, e ben determinati, frangenti. In questo contesto, il limite della politica è quello di dover giustificare una spesa per qualcosa che si presenta all’opinione pubblica come negativo: la guerra e le armi. La verità è che chi sta in politica ha la responsabilità della sicurezza e della pace, e quindi deve impegnarsi affinché sia sul piano della deterrenza sia su quello del rispetto delle prerogative costituzionali, tutto si faccia sempre per il meglio. Per questo bisogna prendere molto sul serio non solo il tema della Difesa ma anche quello della dignità e la veste delle Forze Armate. Questo vuol dire avere grande considerazione per la passione che i nostri uomini mettono nel loro lavoro. Avere grande attenzione per la formazione, ma al tempo stesso impegnarsi affinché abbiano il meglio delle tecnologie disponibili e soprattutto che siano capaci, nel rapporto con le istituzioni, di sviluppare quella strategia di sicurezza e convivenza civile.

Da ex ministro della Difesa, che consigli si sente di dare a Elisabetta Trenta?

Io non mi permetto di dare consigli, ma sono certo che chi ricopre questo ruolo, fosse anche solo per un giorno, sente palpitare il cuore della bandiera. Carpisce la propria rilevanza strategica all’interno del Consiglio dei ministri e nel rapporto con il presidente della Repubblica, comprendendo tutte quelle necessità che fanno parte del quadro strategico che si è tenuti a vivere. Quindi non ho dubbi che anche questo ministro non potrà, per mero calcolo politico, trascurare o non affrontare quelli che sono dei nodi vitali per la sopravvivenza della Repubblica.



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