“Rifugiati: ai confini dell’umanità”. Questo il titolo scelto dal Centro Astalli, la sezione italiana del Servizio dei Gesuiti ai Rifugiati, per discutere di un tema centrale dell’oggi in vista dell’imminente celebrazione della giornata mondiale del rifugiato. Ma cosa vuol dire “rifugiati: ai confini dell’umanità”? Il dubbio è sparito quando il priore della Comunità monastica di Bose, Luciano Manicardi ha citato la Bibbia, prima il “Levitico” 19:34 “Tratterete lo straniero, che abita fra voi, come chi è nato fra voi; tu lo amerai come te stesso; poiché anche voi foste stranieri nel paese d’Egitto. Io sono il Signore vostro Dio”. Manicardi ha proseguito con la lettura di un altro passo biblico, Deuteronomio 10:19 “Amate dunque lo straniero, poiché anche voi foste stranieri nel paese d’Egitto”.
IL SENSO DELL’UMANITÀ
Non è stato confortevole pensare che il senso del titolo sia che ai confini dell’umanità ci siamo finiti noi. Noi, cioè quelli che forse senza saperlo imitano il Faraone: ma per paura, una paura più volte evocata da Manicardi quanto dal suo interlocutore, il professore Massimo Cacciari. Per Cacciari questa paura dipende dalla vecchiaia europea. Vecchiaia anagrafica, “Europa nonna”, direbbe papa Francesco. Vecchiaia mentale, un’Europa così vecchia mentalmente da lasciare l’Africa alla colonizzazione cinese: un’Africa che ha già superato il miliardo di abitanti. Eppure il loro benessere è il nostro benessere e un partenariato non sarebbe un’offerta generosa ma la nostra salvezza. “Vecchiaia che non sognare”, verrebbe da dire pensando al libro di papa Francesco pubblicato in occasione del sinodo sui giovani, vecchiaia che ha paura, ha detto Cacciari. E ha indicato l’urgenza di una nuova alleanza, forse l’unica che potrebbe salvare l’Europa dal suo interno: una nuova alleanza tra le Chiese cristiane e le culture che hanno fondato l’Europa, che non è un’area geografica ma una visione del mondo e della vita. Alla definizione di questa visione le Chiese cristiane hanno dato nei secoli un enorme contributo e per questo questa nuova alleanza gli appare urgente. Il “patto” pensato da Cacciari tra popolari, socialdemocratici e liberali e Chiese cristiane non è un patto politico, ma culturale, antropologico. Questo patto consentirebbe di capire che l’immigrazione non solo è una risorsa, ma una salvezza per chi altrimenti è destinato, come rivelò già nel 2012 Zygmunt Bauman, a dimezzare la propria popolazione attiva prima della metà del secolo.
INVERTIRE LA ROTTA
Ma capire questo non basta, servirebbe invertire la rotta, non solo capire che senza solidarietà non c’è futuro, ma che senza solidarietà non c’è Europa. Cosa accadde trent’anni fa, quando cadde il muro che divideva Berlino in virtù della paura che incuteva? Per varcare quel muro, ha osservato padre Camillo Ripamonti, morirono circa duecento persone, oggi sono circa trentamila i morti in fuga nel Mediterraneo. Può esserci Europa? L’odierna idea di Europa fortezza è un’idea anti-europea, verrebbe da desumere, mentre lo è molto meno l’idea che animò Caracalla, l’imperatore che concesse a tutti i popoli dell’impero la cittadinanza romana. “Civis romani sum” ha ricordato il filosofo veneziano, ben attento a ricordare che il partenariato euro-mediterraneo ci riguarda storicamente ma anche politicamente, tutto sta a definire con categorie che hanno visione il proprio “interesse nazionale”. Ma oggi parliamo dei popoli o pensiamo alle masse? La domanda, appena accennata, ha fatto venire i brividi a molti in sala, ricordando le immagini in bianco e nero appena trasmesse dei muri di oggi, trent’anni dopo l’abbattimento di quel muro di Berlino che fece parlare follemente di fine della storia, mentre cominciava questa nuova storia.
UN’ALLEANZA ANTROPOLOGICA
Ma il punto più forte del ragionamento di Cacciari, condiviso dal priore Manicardi che ha ricordato l’importanza del tempo rispetto alla fissazione di guardare allo spazio, magari al proprio spazio, è stato quello dell’alleanza antropologica. Alleanza tra Chiese cristiane, quelle delle città che travalicano i propri confini, e le culture che hanno saputo sognare e fare l’Europa: liberali, popolari, socialdemocratici. Un’idea che ha ricordato Pier Paolo Pasolini, che già ai suoi tempi seppe capire che la Bologna comunista e consumista era un problema, anzi, il problema.
IL DOMINIO DELLA PAURA
Così sono diventate pesanti le parole pronunciate dal priore di Bose quando ha citato il libro dell’Esodo, 12:49 “Vi sia un’unica legge per il nativo del paese e per lo straniero che soggiorna in mezzo a voi“. Ma come riuscirci se per giustificare una legge, cioè argomentarne la giustezza, ha notato Cacciari, si riesce soltanto a citare il fatto contingente, quello da affrontare. La civiltà o inciviltà giuridica non è piccola cosa per chi non vuole farsi dominare dalla paura. Paura dell’altro, quello che seduto in sala, con i volti di tanti giovani rifugiati, seguiva attento un’analisi su quanto gravi siano i mali d’Europa, quell’Europa che quei migranti hanno sognato “Europa”.