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Sea Watch. Carola, le donne e il machismo castrato

Simona, Simona, Greta, Vanessa, Silvia. E ora lei, Carola. C’è qualcosa nella storia di queste donne che le differenzia di quelle di maschi che si sono trovati in condizioni non tanto dissimili? Si potrebbero fare tanti nomi di sequestrati, come l’amico e collega Georges, sequestrato con il suo collega Christian, o di Domenico, o quelli di tanti altri. Ma i nomi citati all’inizio sono tutti femminili: Simona, Simona, Greta, Vanessa, Silvia. E ora il nostro Paese è coinvolto nelle vicende della tedesca Carola, giunta clamorosamente in Italia.

Cosa c’è nelle loro storie da giustificare rabbia, insulto, disprezzo, offesa, addirittura in certi casi dileggio se non vera violenza? Il fatto che sono donne? Il fatto che sono donne è così importante, preoccupante? C’è anche il fatto che sono giovani. Il fatto che sono giovani donne è così grave, preoccupante, importante? Simona, Simona, Greta, Vanessa, Silvia, per alcuni che le hanno criticate, o più che criticate, non sono italiane? Non vengono prima? Forse sì, vengono prima nell’insulto, nell’improperio. E perché? Perché vanno o andavano insultate? E perché andrebbe dileggiata o magari insultata la giovane donna tedesca arrivata in Italia? Carola. Questo caso non è soltanto un caso di ordinario machismo, di ordinario maschilismo, di ordinaria paura. Dietro questo caso c’è forse il fatto che “donne non si nasce, si diventa”. Lo ha scritto una donna, Simone De Beauvoir. Cosa vuol dire? Lei scrisse così: “Donna non si nasce, lo si diventa. Nessun destino biologico, psichico, economico definisce l’aspetto che riveste in seno alla società la femmina dell’uomo: è l’insieme della storia e della civiltà a elaborare quel prodotto intermedio tra il maschio e il castrato che chiamiamo donna”.

Ecco che rileggendo vien da pensare a questo percorso e prodotto intermedio tra maschio e castrato, diventa fondamentale per cercare di farsi un’idea. Una donna, una giovane donna madre di due, ieri mi ha detto di aver pianto vedendo la foto del padre e suo figlio morti annegati lungo il confine tra Messico e Stati Uniti. Piangeva guardando i suoi figli, due, e pensando che tutti i bambini hanno diritto alla vita. Un’idea che se un maschio non prova, non vive, non sente, sarà una negazione affermativa. Che sta diventando un castrato? Voglio dire, non può essere madre, ma padre sì…

Il machismo che alberga nella paura che proviamo per Simona, Simona, Greta, Vanessa, Silvia e ora per la straniera giunta in Italia, Carola, va capito non nella condivisione o critica di quel che hanno fatto. Quella riguarda anche Georges, o Christian, o Domenico, o altri. No, riguarda il loro emergere come giovani donne, emergere da protagoniste della nostra vita, nella nostra vita, per la nostra vita. Sono protagoniste e donne o sono protagoniste perché donne? È l’irraggiungibile, per noi maschi, dimensione di madri che ci offende? È la paura di essere divenuti castrati che ci attanaglia? La forza della maternità si ritrova in tutte le culture: da Maria Vergine alla Madre Terra. La debolezza è maschile? È questo timore che va represso, nascosto? Se al posto di Carola si fosse trovato il comandante di tante altre spedizioni di Ong, Riccardo, sarebbe stato uguale o sarebbe stato diverso? Ci sarebbe stato di meno il sapore di sfida… o no?

È intorno a questa domanda che ruota un’altra domanda di queste ore: chi è per gli italiani la capitana Carola? Una ragazza “sbruffoncella”? O forse l’incubo di una riprova che Dio è madre? È di questo che abbiamo paura? Lei certamente è solo una donna, come tante altre, anche di idee diverse dalla sua, ma il suo volto femminile, materno, fragile, sembra spaventare alcuni, e bisogna capire perché.

La questione non è solo il machismo, di società patriarcale, forse c’è molto di più. Forse c’è qualcosa da indagare? E allora la questione della famiglia, della difesa dei diritti delle madri, del ruolo della donna nella società e non ai fornelli, non emerge come base anche di questa questione?

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