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Juncker come Conte e Tria, ma qualcuno a Roma vuole la procedura d’infrazione

Le chiacchiere contano. E hanno già fortemente indebolito l’Italia. Si deve fare attenzione più alle parole di Conte che a quelle di Juncker. Il guaio è che alle parole del primo il peso viene tolto a Roma, non a Bruxelles. La procedura d’infrazione la si vuole più a Roma che a Bruxelles.

La Commissione europea ha mosso dei rilievi ai conti di diversi Paesi, l’idea che ciò sia avvenuto solo per l’Italia è una bugia vittimista. Solo da noi, però, è successo che si sia provato a bruciare la risposta del governo, diffondendo anticipatamente una bozza e provvedendo a impallinarla ancor prima che fosse stampata. A quel punto la Commissione s’è mossa con prudenza, perché preso atto che le parole scritte erano diverse da quelle orali ha fatto osservare che, su quel piano, non sarebbe stato possibile evitare che si suggerisse ai capi di Stato e di governo l’avvio di una procedura d’infrazione. Aggiungendo: la porta resta aperta. Della serie: aiutateci a fermare tutto. A seguire Moody’s ha diffuso un avviso di declassamento, che avrebbe effetti negativi assai più rilevanti che non la procedura stessa.

Il presidente del Consiglio ha quindi convocato una singolare conferenza stampa, destinata a parlare ai suoi due vice: si deve trovare una via d’uscita senza esporre l’Italia a inutili rischi e costi (ha poi esplicitamente parlato di “danno ai risparmiatori”, parole il cui significato è inequivoco). Il ministro dell’economia, subito e ancora in queste ore, ha ribadito che non solo la procedura si può evitare, ma che i saldi strutturali sono in linea con quanto stabilito, bastando rispettare il Documento di economia e finanza, così come da tutti approvato nel suo aggiornamento. Chiarissimo: possiamo aggiustarla senza manovrine, semplicemente lavorando sulla minore spesa di alcuni capitoli (a cominciare dal reddito di cittadinanza).

Scusate la rozzezza, ma si può così sintetizzarla: è chiaro che i nostri conti sono disallineati rispetto agli obiettivi, ma con un po’ di ipocrisia e contando sul fatto che la procedura contro l’Italia non la vuole nessuno, perché tutti sanno che può portare solo danni, mostrandosi prudenti e riconoscendo le difficoltà possiamo sfangarla. Ma sembra sia proprio questo che taluni non vogliono. A Roma vogliono la procedura, propiziata dal rendere impossibile il negoziato, cantando ai quattro venti che si è sempre pensato di non rispettare una riga del Def. Vuoi che questo accada perché ci si vuole fare esplodere pur di danneggiare (in conto terzi) l’euro e l’Ue, vuoi che accada perché non si sa come affrontare la successiva scadenza della legge di bilancio, vuoi perché si è rimasti prigionieri dei ruoli smargiassi, vuoi non si sappia di che si parla, questo accade. I mini bot sono la ciliegina sulla torta, letta da chiunque sappia leggere nel solo modo possibile: la promessa di stampare denaro falso per far saltare tutto.

Se vai a sostenere che questa Commissione europea non può avviare la procedura perché al termine del mandato e “delegittimata” significa accompagnare l’analfabetismo istituzionale (non esistono vuoti e la Commissione è sempre pienamente in carica) con l’azzardo politico, dato che la prossima Commissione sarà più rigorista. Il fatto che il Comitato economico e finanziario, ovvero la sede preposta all’istruttoria tecnica, abbia confermato la fondatezza della procedura ha a che vedere con il futuro, non con il passato.

Allora, se si vuole evitarla, basta che si parta da quello e lo si discuta sul piano tecnico. Altrimenti la posizione di chi lavora per evitare lo scontro s’indebolisce mortalmente. Ed è in questa chiave che vanno lette le parole di Juncker: su questa strada l’Italia si fa male. Coincidono con quelle di Conte, che fanno eco a quelle di Tria. È a Roma che si pedala in direzione opposta. Contro tutti e tre.

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