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L’Italia? Filo atlantica e con voglia di democrazia. I numeri del Democracy Perception Index

In tempi di fake news, interferenze e attacchi ai sistemi politico-istituzionali condotti attraverso la Rete, nuovi numeri indicano che la democrazia è ancora considerata un valore importante da difendere in quasi tutti i Paesi del mondo, ma che, al tempo stesso, i cittadini ne percepiscono diffusamente una carenza, che vorrebbero vedere colmata.

IL DEMOCRACY PERCEPTION INDEX

Presentato in Danimarca, dove oggi si conclude il Copenaghen Democracy Summit organizzato dall’ex segretario generale della Nato Anders Fogh Rasmussen, il Democracy Perception Index (Dpi) – il più grande studio annuale sulla democrazia del mondo, condotto da Dalia Research in collaborazione con la no-profit Alliance of Democracies Foundation e Rasmussen Global – dipinge un quadro in chiaroscuro degli atteggiamenti nei confronti della democrazia di tutto il mondo. Lo studio si concentra in particolare sulla percezione pubblica, motivata dal presupposto che la sopravvivenza della democrazia dipende principalmente dal modo in cui i cittadini la percepiscono. I risultati del Dpi si basano su interviste rappresentative a livello nazionale, con circa 178mila intervistati di 54 Paesi (il 75% della popolazione mondiale rappresentata), condotte tra il 18 aprile e il 6 giugno 2019.

L’IMPORTANZA DELLA DEMOCRAZIA

Il 79% degli intervistati in tutto il mondo sostiene che è importante che ci sia democrazia nel loro Paese. Questa è l’opinione della maggioranza in ogni nazione esaminata, anche se varia dal 92% in Grecia al 55% in Iran, con una percentuale di oltre il 90% anche in l’Italia.

CHE COSA MANCA

Fin qui nulla di sconvolgente. Spinge invece a riflettere il fatto che, secondo le risposte raccolte, il 45% di tutte le persone che vivono in democrazia pensano che i loro Paesi non siano in realtà democratici. Globalmente, il 41% afferma di non avere abbastanza democrazia nel proprio Paese, e nelle democrazie il 38% afferma lo stesso.
Solo la metà degli intervistati in tutto il mondo (55%) dichiara che i loro Paesi sono democratici, con picchi del 78% in Svizzera e 74% in Danimarca e Norvegia. Solo il 27% in Iran, il 26% in Ungheria e il 20% in Venezuela crede, invece, che la sua nazione sia democratica. Sorprendentemente, anche in democrazie come Italia, Francia e Regno Unito, i risultati non sono dei migliori: tra il 30 e il 40% della popolazione pensa che i loro Paesi non siano effettivamente democratici.

IL BISOGNO DI DEMOCRAZIA

Dati, questi, che rispecchiano quelli dei Paesi che desidererebbero maggiore democrazia. Lo vorrebbe un numero compreso fra il 60 e il 70 % italiani. Ma anche una percentuale compresa tra il 40 e il 50% degli spagnoli, dei britannici, dei francesi, dei russi e persino degli statunitensi. Più alte le percentuali in Venezuela, Ungheria e Nigeria, dove rispettivamente il 78, il 68 e il 65% chiede più democrazia.

LE CAUSE

Il report analizza anche le cause di questa carenza, secondo i cittadini intervistati. In Austria (43%), Canada (43%), Stati Uniti (42%), Paesi Bassi (41%) e Australia (41% ), Italia, Francia, Regno Unito e Germania (tutte con cifre fra il 30 e 40%) un numero elevato di persone pensa che siano i social media ad avere l’impatto più negativo sulla democrazia. Ma non gode di una buona percezione nemmeno l’industria finanziaria. Secondo il Dpi, i paesi in cui le persone pensano che le banche e l’industria finanziaria abbiano avuto l’impatto più negativo sulla democrazia sono Grecia (64%), Italia (61%), Germania (56%), Francia (55%) e Belgio 53%). Con percentuali elevate anche negli Stati Uniti e in Svizzera (fra il 40 e il 50% degli intervistati). Sorprendenti, infine, i Paesi in cui le persone pensano che gli Stati Uniti abbiano avuto l’impatto più negativo sulla democrazia in tutto il mondo. Per la maggior parte sono occidentali come Austria (66%), Germania (62%), Danimarca (59%), Svizzera (58%) e Canada (58%). ‘Solo’ il 27% in Russia e meno del 10% in Cina. L’Italia, invece, si conferma filoatlantica, con una percentuale che, seppur inferiore al 10%, ritiene che l’influenza americana nel globo abbia un impatto positivo.

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