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Il filoeuropeismo di Di Maio è durato lo spazio di un mattino. Analisi delle convenienze

Il miracolo è avvenuto e lo ha fatto l’Europa, o meglio l’arcigna Commissione di Bruxelles che ha minacciato, e in sostanza avviato, la procedura di infrazione per l’Italia per debito eccessivo. Il miracolo è stato quello di ricompattare il governo. All’unisono, Matteo Salvini e Luigi Di Maio, contraddicendo il presidente del Consiglio, hanno elaborato una linea netta di rifiuto dei vincoli europei, e si sono persino tornati a parlare con “cordialità”.

Che lo abbiano fatto proprio mentre Giuseppe Conte era all’estero, è un indubbio segnale politico: da un lato, si è voluto ribadire chi è che comanda veramente all’interno del governo; dall’altro, si è voluto stroncare sul nascere ogni tentativo del premier di “allargarsi”, come si dice a Roma, casomai con l’appoggio (in verità tutto da dimostrare) del Quirinale e del deep State. Aver lasciato poi trapelare l’intenzione di nominare presto un ministro ai Rapporti europei al posto di Paolo Savona (Conte aveva preso per sé ad interim la delega) e un politico puro come membro italiano della futura Commissione, sono altri due elementi che vanno in questa direzione.

In sostanza, chi pensava che proprio le tematiche europeiste sarebbero state la classica goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso dei precari equilibri di governo deve perciò ricredersi. E deve osservare, fra il sorpreso o il compiaciuto a seconda dei casi, che il filoeuropeismo del Movimento è durato lo spazio di un mattino, anzi di una campagna elettorale. Sarebbe però errato pensare che siano stati solo i mutati equilibri di forza a far cambiare idea a Di Maio, ritornato a far propria la linea che coerentemente è stata invece sempre quella di Salvini. Al contrario: come nelle parole pronunciate prima del voto del 26 maggio c’era un preciso disegno politico, così nelle posizioni odierne c’è una analisi seria delle convenienze e degli interessi (anche storici) del Movimento.

Nel primo caso, c’era il tentativo disperato di segnare le differenze rispetto a una Lega che stava facendo man bassa dei consensi fra gli italiani favorevoli al governo; nel secondo c’è, a mio avviso, una doppia considerazione. Prima di tutto, c’è la consapevolezza che, fra i temi stabiliti tra le priorità da Salvini (che ormai detta le carte), solo uno si ricollega all’identità storica di protesta dei Cinque Stelle e può anzi fungere anche da collante interno delle diverse anime del Movimento: quello ovviamente di critica all’Unione europea, e in particolare delle sue politiche di austerità.

Nel secondo caso, l’idea che proprio la convergenza sui modi da tenere nei rispetti di Bruxelles può far dimenticare, o passare in secondo piano, gli elementi divisivi che avrebbero potuto ostacolare il cammino del governo e la volontà condivisa di “andare avanti”. D’altronde, alla “voce grossa” di Bruxelles non è dato sapere se corrisponderà una “copertura politica” nei nuovi equilibri europei che si andranno a delineare nei prossimi mesi e che nei loro esiti finali non sono affatto scontati come la grande stampa si ostina a credere.


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