La decisione della Germania di bloccare l’export militare verso l’Arabia Saudita rischia di avere ripercussioni su tutta l’industria della difesa del Vecchio continente. L’allarme arriva dal Financial Times, che riprende gli avvertimenti giunti di recente da alcuni vertici dei grandi gruppi continentali, a partire dal neo numero uno di Airbus Guillaume Faury. In sintesi, gli effetti della unilaterale decisione tedesca, adottata lo scorso ottobre a seguito dell’assassinio del giornalista Jamal Khashoggi, si sarebbero ramificati ben oltre i confini tedeschi.
UN’AZIONE UNILATERALE
Considerato che attualmente i progetti militari europei sono sviluppati grazie alla collaborazione di diversi Stati, la scelta di bloccare le esportazioni verso Riad non riguarda solo Berlino, ma tutta l’Ue. Per quanto la decisione della Germania sia stata accolta favorevolmente da numerosi attivisti e associazioni per i diritti umani, la maggior parte degli Stati membri si è limitata a condannare pubblicamente la condotta dell’Arabia Saudita. La scelta di Berlino ha dunque sollevato preoccupazioni profonde per l’industria europea, poiché il veto di un singolo rischia di far venire meno tutto il sistema.
I COSTI PER LE AZIENDE
È così l’amministratore delegato di Airbus, riporta il Financial Times, starebbe valutando di portare avanti un’azione legale contro il governo di Berlino, in quanto il blocco alle esportazioni verso l’Arabia Saudita avrebbe gravi ripercussioni per il business del colosso franco-tedesco. “Andare per vie legali è un’opzione che dobbiamo prendere in considerazione”, ha detto il nuovo ceo Faury, sottolineando la gravità della situazione. In ogni caso, ricorda il quotidiano britannico, Airbus non è l’unica azienda a dovere pagare il prezzo di questa scelta politica. Già ad aprile, l’inglese BAE Systems, che guida il consorzio Eurofighter nella vendita a Riad, avvertiva del rischio di venir meno agli obblighi contrattuali nei confronti dei sauditi a causa della politica di Berlino. Così come la tedesca Rheinmetall, che ha sollevato alcune preoccupazioni per il suo contratto da 120 milioni di euro per la consegna di 90 veicoli militari.
LE VOCI DELL’INDUSTRIA
D’altra parte, commentando la presente situazione politica, molti esponenti dell’industria non hanno nascosto le proprie preoccupazioni, ricordando come azioni unilaterali di questo tipo rischino di essere estremamente dannose per tutta l’industria europea della difesa. L’amministratore delegato di Leonardo (tra i partner del progetto Eurofighter), Alessandro Profumo, ha recentemente commentato: “Ciò che mi preoccupa di più è il rischio di fratturare la creazione di un sistema di difesa europeo”. Così come il portavoce di KMW: “Senza un insieme pratico e chiaro di regole non saremo in grado di lavorare insieme nel modo in cui vogliamo lavorare. Ciò riguarda lo scambio di tecnologia e informazioni attraverso i confini”.
ALLA RICERCA DI REGOLE COMUNI PER L’EXPORT
La chiarezza sulle regole d’esportazione sembrerebbe essere dunque il centro del dibattito, soprattutto nel momento in cui è necessario un impegno transnazionale per la buona riuscita del progetto. “Gli stati devono mettersi d’accordo con regole, il più presto possibile”, ha detto il ceo di Dassault, Eric Trappier. A mettere il carico da novanta, con alcune dichiarazioni al Financial Times, è stato l’amministratore delegato della francese Safran, Philippe Petitcolin: “In un certo senso la Germania sta tenendo in ostaggio gli altri partner. Se fai parte di una comunità devi rispettare la comunità. Se giochi, devi giocare secondo le regole del gioco”.
DUE REALTÀ A CONFRONTO
Già nei mesi scorsi, il tema dell’esportabilità dei prodotti comuni è stato messo al centro dei rapporti tra Berlino e Parigi, rischioso elemento di frizione in un momento di rilancio dei loro rapporti. A gennaio, all’Eliseo, i due governi hanno rinsaldato il coordinamento in materia difesa, condito da numerosi progetti su sviluppi futuri tra cui spicca il caccia del futuro (Fcas). Distanze considerevoli in tema di export rischiano ora di incrinare le visioni di una difesa europea a trazione franco-tedesca. D’altra parte, Riad resta in cima ai Paesi importatori. Lo Stockholm international peace research institute (Sipri) ha stimato che nel 2018 l’Arabia Saudita ha speso 67,7 miliardi di dollari nel settore della difesa, attestandosi come terzo Stato, e primo nella regione del Golfo, nella classifica dei Paesi con la più alta spesa militare. Una chiara prova dell’importanza di questo settore è data dal fatto che nel 2018 Riad abbia speso l’8% del Pil in sistemi militari, mentre nel 2015 aveva raggiunto addirittura il 15%. Attualmente, l’Arabia Saudita è il primo Paese al mondo per le importazioni militari, ricevendo la maggior parte delle armi dagli Stati Uniti, Regno Unito e Francia.