Skip to main content

DISPONIBILI GLI ULTIMI NUMERI DELLE NOSTRE RIVISTE.

 

ultima rivista formiche
ultima rivista airpress

Dopo il drone la Turchia si fa il super jet. Ma chi paga?

Dopo il drone made in Turkey, Erdogan punta sul “gemello” dell’ F35, un jet da combattimento di nuova generazione: il TF-X, della Tai, presentato ufficialmente lunedì al Salone dell’aeronautica di Parigi. Uno sforzo da 13 miliardi di dollari in un momento in cui l’economia turca preoccupa tutto il mondo finanziario. Punta al primo volo nel 2025 e ad entrare in servizio nel 2028.

SUPER JET

Nonostante tutti gli indicatori finanziari convergano sulla lenta combustione dell’economia turca, che potrebbe fruttare una implosione nel breve periodo, il governo investe 13 miliardi nel settore difesa. Un modo per ovviare al mancato acquisto degli F-35 Usa, dice qualcuno, anche se il progetto è partito già da tempo, come il drone made in Turkey che sconfina nell’Egeo sui cieli delle isole greche.

Obiettivo di Erdogan è sponsorizzare la produzione nazionale, ma dovrà comunque confrontarsi con quei players che nel settore vantano un know how differente rispetto a quello turco. Il prototipo di Ankara arriva lo stesso giorno in cui Francia e Germania hanno rivelato il modello della loro offerta collaborativa per un caccia combattente di sesta generazione. E le parole del Ceo di Tai, lo confermano: “Abbiamo promesso alla nostra nazione che questo sarà il miglior combattente in Europa”, ha detto Temel Kotil.

SI VOLA O NO?

Ma i problemi non mancano, perché il nuovo super jet di Erdogan potrebbe restare a terra. Il programma inizialmente era stato avviato contando sulla fornitura di motori Rolls-Royce, soggetto molto attivo nella collaborazione con il gruppo turco Kale per lavorare allo sviluppo dei propulsori. Ma all’inizio del 2019 lo sviluppatore britannico ha fatto una parziale marcia indietro, forse annusando l’aria non proprio amichevole tra Washington e Ankara, annunciando un ridimensionamento per via di una controversia sul trasferimento di proprietà intellettuale.

Il nodo si stringe attorno alla volontà del governo turco di utilizzare la US General Electric F110 per il suo velivolo ma nel frattempo gli Stati Uniti hanno minacciato di espellere la Turchia dal programma F-35 come conseguenza del suo acquisto del sistema aereo russo S-400.

CONFLITTI

Nel novembre scorso il numero uno dell’industria della difesa turca, Ismail Demir, aveva frettolosamente assicurato che il suo paese mai avrebbe chiuso le porte ai produttori di motori internazionali, pur precisando al contempo che la Turchia ha delle linee guida riguardo al progetto da cui non intende discostarsi. Il riferimento era al ruolo della società di difesa TR Motors per la produzione dei jet.

In pratica la richiesta al fornitore era di poter avere un motore che appartenesse completamente ad Ankara, eliminando ogni sorta di restrizioni alle esportazioni, con la detenzione da parte turca di tutti i diritti legati alla tecnologia applicata. Ma Londra proprio dopo quelle parole aveva espresso tutta la sua preoccupazione sul fatto che la Turchia provasse a far condividere a Rolls Royce la sua tecnologia con TR Motor, i cui azionisti includono il ministro della difesa del Qatar.

Troppi conflitti, dunque, in un paese già nell’occhio del ciclone per la doppia questione F-35 e S-400. Ma il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan non si muove dalla sua posizione originaria: ha chiesto apertamente ai suoi ministeri che l’industria della difesa della Turchia sia “nazionale e autoctona”. E sul sistema missilistico russo il ministro degli esteri Mevlüt Çavuşoğlu ha assicurato che non vi sarà alcun ritardo, e ha annunciato che cento militari turchi si preparano a recarsi in Russia per la necessaria fase di addestramenti sui nuovi sistemi.

TURKEY FIRST

Al di là della strategia da “Turkey first” tanto cara a Erdogan, è chiaro che sul programma del super jet gravitano numerosi elementi discordanti. Tutti fattori che si sommano alla crisi finanziaria, con i numeri che non fanno prevedere nulla di buono. I prezzi dei beni al consumo subiscono aumenti settimanali, con la tensione che si respira tra commercianti e ceto medio, timorosi nel gettare denaro su piazza. Già da tempo era stato ipotizzato il rischio capital control, sullo stile di quello andato in scena in Grecia nel mezzo della crisi dell’euro, che sommato alla ottava elezione in cinque anni a Istanbul, offre un’icona di come stia in salute la Turchia e la sua città maggiormente rappresentativa.

Le cosiddette mini-crisi finanziarie dell’ultimo biennio, aggiunte al crollo della lira che dall’agosto scorso ha fatto segnare la sua peggiore performances, necessitano a questo punto di una svolta, possibile solo partendo da quei crediti inesigibili che sono presenti in un sistema bancario in apnea.

twitter@FDepalo

×

Iscriviti alla newsletter