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Ebbene sì, i partiti al governo sono tre

La graziosa fotografia domenicale (con tanto di cagnolini bianchi) del presidente Conte, l’intervista televisiva del ministro Moavero a Lucia Annunziata e le parole durissime del ministro Tria sui mini-bond non sono eventi casuali né svincolati tra loro, sono un coordinato atto politico, perfettamente in grado di configurare la nascita del terzo partito della coalizione di governo.

CONTE, MOAVERO, TRIA

Un partito fortissimo nei palazzi romani (alla luce del ridimensionamento elettorale del M5S e della scarsa penetrazione in quei contesti del mondo leghista), ben accolto dal mondo dell’informazione e assai gradito dalle principali rappresentanze economiche, siano esse espressione delle imprese che del sindacato (tutte realtà da sempre a loro agio con i governi tecnici).

È un terzo partito svincolato da impegni elettorali (per ora) ma non per questo privo di una piattaforma politica, è un partito che non avrà sedi né organi ma che sarà capace di far sentire la sua voce su tutti i dossier più importanti, perché la delicatezza della situazione è tale da rendere il terreno particolarmente favorevole per questo tipo di approccio. È il partito dell’establishment, che torna a far sentire la sua voce.

LA FORZA E LA DEBOLEZZA DI SALVINI

D’altronde la situazione è abbastanza chiara a tutti. Salvini ha fatto centro sul suo dossier più caldo, cioè l’immigrazione. Il risultato politico è formidabile e le urne (compresi i risultati dei ballottaggi nei comuni) continuano a premiarlo, con successi piuttosto impressionanti come quelli di Forlì e Ferrara. Però sui temi economici e di rapporto con Bruxelles la debolezza complessiva del fronte sovranista è evidente, complice la crisi profonda del M5S e l’isolamento in cui operano Salvini e Le Pen sulla scena continentale, isolamento plasticamente dimostrato dal fatto che nessuna forza politica di rilievo aderirà al loro gruppo.

Ecco allora lo spazio politico perfetto per un soggetto tanto inafferrabile quanto presente, un soggetto in grado di stare in campo proprio in forza dei ruoli ricoperti, elemento di natura diversa dal consenso elettorale ma comunque capace di influenzare le decisioni di governo. Il presidente Conte capisce perfettamente tutto questo, da esperto uomo delle professioni e dell’università, così come sono assolutamente a loro agio due navigatori di lungo corso come Moavero e Tria.

Anche l’obiettivo è chiaro: mantenere l’Italia al centro della scena europea (in continuità con la posizione di sempre, pur in presenza di istanze politiche nuove sulle quali il voto degli italiani è stato assai eloquente) e tutelare gli equilibri di finanza pubblica sul fronte dei mercati: due temi che trovano in perfetta sintonia tanto il Capo dello Stato quanto il Presidente della Bce. Già, Mattarella e Draghi.

I risultati elettorali del 26 maggio hanno rafforzato la loro posizione, perché hanno (di fatto) archiviato gli equilibri del marzo 2018, chiarendo a tutti che i voti vanno e vengono alla velocità della luce. Quindi si può agire con più decisione, anche perché i momenti cruciali si avvicinano (vale a dire il rinnovo degli incarichi UE e la sessione di bilancio). Per giocare questa partita la procedura d’infrazione su cui si pronuncerà l’Ecofin di luglio è strumento utilissimo. A tutto vantaggio del terzo partito della coalizione.



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