“Un politico dovrebbe sempre seminare speranza” dice papa Francesco. Per capire tali parole occorre convincersi che il voto europeo (in Italia ma anche nel resto d’Europa) è stato un voto antropologico e non politico. Lo dimostra la sua volatilità: gli elettori cercano disperatamente soluzioni. Per questo il papa ne parla in termini umani. Speranza non significa presentare tutto in positivo come se i problemi non ci fossero. Significa invece indicare una direzione di uscita e, nei casi più difficili, mostrare la luce in fondo al tunnel.
L’errore di Renzi fu dimenticare le sofferenze e i drammi sociali. Quello di Salvini potrebbe essere l’opposto: far leva sul vittimismo per incattivire senza indicare soluzioni praticabili. Entrambi concentrati sui sintomi, si dimentica la malattia vera: isolamento, solitudine, mancanza di lavoro, impoverimento della classe media, abbandono delle aree interne o periferiche, erosione del welfare, invecchiamento demografico ecc. Di fronte a questi mali profondi non basta proporre gli 80 euro e una “società start-up” ma nemmeno incendiare il rancore indicando un nemico (rom, stranieri ecc). Né basta la flat tax, fondata su un’evidente in ingiustizia. La gente non è stupida e sa bene che le soluzioni sono complesse: nessuno crede davvero alle bacchette magiche. Ma le persone vogliono almeno venire ascoltate e non una volta sola. Ciò che la politica deve fare è dare continuità ad una presenza.
Le soluzioni verranno da uno scambio continuo tra rappresentanti e popolo: in partenza nessuno dei due sa veramente cosa è meglio fare. Questo vuol dire essere umili: non un atteggiamento dimesso o fintamente partecipe ma di ascolto permanente e di pensiero lungo. Seminare speranza diviene così un cammino della politica dentro la società dove ci sono molti corpi intermedi da coinvolgere, alcuni più forti altri meno ma tutti significativi. La società è densa e non esistono solo gli individui.
Per queste ragioni l’analisi del recente voto europeo deve essere rinnovata: come detto, non si tratta di un voto politico ma antropologico. Nel 2014 gli italiani regalarono il 40% a Renzi e non al Pd. Oggi hanno dato il 34% a Salvini e non alla Lega.
In entrambi i casi non si tratta di un voto squisitamente politico: ieri di sinistra o centrosinistra oggi di destra. In passato credettero anche in Berlusconi e in Monti. Tali deviazioni dell’elettorato hanno ben poco di politico: almeno per la metà dei voti espressi si tratta di persone che votano cercando qualcuno o qualcosa che possa bloccare la discesa verso il declino che la maggioranza percepisce. Declino composto perlopiù da questioni di ordine sociale e non economico, inclusa la mancanza di lavoro. È vero che l’Italia ha un enorme debito pubblico ma le persone sanno anche che il paese è pieno di risorse. E allora vagano sullo scacchiere politico alla ricerca di chi possa dare loro -provvisoria- fiducia per indirizzare il paese verso la ripresa. La prova è che il voto pro-Salvini si concentra nelle periferie urbane e nelle zone rurali interne, nei borghi e nei piccoli comuni. Il voto del 2014 come quello di oggi (e anche quello del 2018) sono tentativi: chi votava Renzi in massa e oggi Salvini (anche se non sono le stesse persone) non lo fa perché è di sinistra o di destra. Lo fa perché cerca qualcosa a cui aggrapparsi. In questo senso il leader è importante (perché focalizza) ma non risolutivo (perché è fragile): basta poco a farlo cadere nelle preferenze e nelle passioni delle persone.
Per rispondere a tale domanda antropologica, oggi all’Italia serve una ricostruzione, che significa anche uno “spirito della ricostruzione”. Lo abbiamo vissuto negli anni del dopoguerra: vuol dire prendere su di sé una parte della responsabilità comune e sapere che tutti hanno il diritto/dovere di contare per la propria parte. Spirito di ricostruzione è uno sforzo comune, è il Noi anteposto ai tanti Io urlanti. Il leader del momento dovrebbe assecondare e guidare tale sforzo comune, come un grande direttore di orchestra che si rivolge alle forze vive della società, nessuna esclusa. Un leader siffatto non ha nemici, solo potenziali collaboratori e partner. Se il leader di oggi, colui su cui si appuntano tutte le speranze, non è in grado di comprenderlo, inevitabilmente cadrà.
È caduto Renzi che vedeva nemici ovunque e non è riuscito a liberarsi da tale trappola psicologica. Malgrado il suo innegabile talento, invece di volare alto si è intrattenuto in futili quanto dispendiose lotte intestine, tanto da far apparire il Pd come la Firenze del ‘400-‘500: un’interminabile lotta faziosa (alla fine, a suo modo di vedere, la congiura dei Pazzi sarebbe riuscita). Salvini i nemici addirittura se li crea ogni giorno, destinandosi ad una posizione di leader settario, alla fine dannoso e inutile. Anche lui non vola alto, anzi. Addirittura spera di coltivare il consenso mettendosi ora contro la chiesa di papa Francesco, l’unica rete di coesione sociale presente su tutto il territorio nazionale ma anche una forza morale globale a cui tutti guardano. Così facendo si chiude in un angolo da cui sarà difficile liberarsi.
Infine si parla di un nuovo partito centrale/centrista (quello di Renzi o Calenda o Sala ecc.). Se si tratta di rimescolare le carte al centro-sinistra per acchiappare qualche moderato in uscita da Forza Italia e/o riprendere qualche voto a +Europa (rivelatasi troppo solipsista), non si aggiunge quasi nulla, anzi: si rischia di indebolire il Pd e basta. Il voto antropologico richiede un’altra interpretazione: c’è bisogno di una forza che interpreti dal basso le paure e le speranze degli italiani. Una forza che sia sintonica con la società e in particolare con la società civile organizzata, quella che esprime i valori di comunità e di umanità, legando assieme autonomie civiche e solidarietà.
L’elezione di Pietro Bartolo raffigura questo: non si può dire che sia un’elezione avvenuta a sinistra, al centrosinistra, al centro o addirittura tra i moderati. La vasta coalizione civica che lo ha votato (dalla sinistra radicale ai moderati, dai laici ai praticanti, dai cattolici ai protestanti…), lo ha fatto per ciò che Bartolo, rappresenta: l’icona della tradizione umanistica e civile italiana, quella che non esclude ma include, quella che si occupa della preservazione della vita. Tale tradizione prima reagisce salvando la vita e le vite (tutte) e poi si chiede cosa ragionevolmente fare: un atteggiamento a-ideologico o post-ideologico. Per questo una nuova forza politica deve essere in grado di esprimere il miglior civismo italiano che oggi non può che essere ecologico e ambientale. Il voto antropologico ci dice infatti che il 2,3% dei Verdi alle europee (che non è poco) non è un voto “di sinistra” ma addirittura un voto moderato e cosciente del rischio ambientale che stiamo vivendo. Una nuova forza politica “centrale” deve essere in grado anche di stare sul territorio degli esclusi e abbandonati: non solo migranti ma anche poveri, classe media impoverita, periferie, zone interne, piccoli comuni, zone montane (laddove la Lega è fortissima). Starci significa costruire una presenza nel tempo. Di questa forza l’Italia ha bisogno oggi: noi di DemoS ci stiamo lavorando.