È un’intervista che parte da una domanda probabilmente banale ma tremendamente attuale – “come sta la democrazia?” – quella che Formiche.net ha realizzato con Giuliano da Empoli, scrittore, saggista studioso della politica e del fenomeno del consenso. Autore di più libri sull’argomento, tra cui “La rabbia e l’algoritmo – Il grillismo preso sul serio”, la cui ultima opera si intitola “Gli ingegneri del caos – Teoria e tecnica dell’Internazionale populista”. L’altro giorno, da Empoli ha partecipato ai “Colloqui sulla democrazia” organizzati anche da Formiche al Centro Studi Americano.
Giuliano da Empoli risponde alla domanda iniziale, ovviamente partendo da un distinguo: “Per analizzare lo stato di salute della democrazia, dobbiamo ovviamente chiarire di quale area geografica stiamo parlando. In linea generale, però, si può dire che la democrazia rappresentativa è sotto stress un po’ dovunque, in particolare laddove aveva assunto i caratteri della democrazia liberale contraddistinta da principi come il rispetto dei diritti delle minoranze. Nei Paesi anglosassoni come Regno Unito e Stati Uniti, o in India che è la più grande democrazia mondiale, e ovviamente anche nella nostra Europa”. Ovviamente non possiamo esimerci dal chiedere a de Empoli il perché di questo stress, di questa crescente tensione. E lui non ha tentennamenti nell’individuare la motivazione nell’oggetto simbolico della fretta, dell’accelerazione dei tempi e delle procedure: sua maestà (parole nostre) il telefonino. “I meccanismi e perché no le pause della democrazia rappresentativa contrastano con quegli oggettini lucidi, bianchi o metallizzati, che ciascuno di noi porta con sé e che servono a ottenere risposte le più rapide possibili alle nostre richieste, rispondono alle nostre esigenze di avere un riscontro immediato ai nostri bisogni. Siamo decisamente distanti dai tempi richiesti dalla democrazia rappresentativa che è basata sulla delega e che richiede anche di fisiologici di tempi di maturazione e di discussione”.
Per da Empoli è il selfie l’atto caratterizzante dei tempi contemporanei. “Ormai a qualunque evento si partecipi, si avverte il desiderio di esserne al centro e di esibire la nostra partecipazione. Siamo noi, nessuno ci rappresenta in quel momento. E non è certamente un caso che quell’atto, il selfie, è vietato nell’esercizio del voto, nel momento caratterizzante della democrazia rappresentativa. Se fai un selfie in cabina, il voto te lo annullano, perché deve rimanere segreto. Può sembrare un’osservazione stupida, e invece secondo me è emblematica. Se ne parla poco, ma il telefonino fa quasi più vittime del terrorismo, e nelle statistiche ne è sottovalutata l’incidenza negli incidenti stradali e magari in altre circostanze”.
LE BANCHE DI COLLERA
Il narcisismo quindi. Le difficoltà della democrazia ai tempi del narcisismo dilagante, anzi dilagato.
“Oggi c’è l’esigenza di essere al centro, si è alla ricerca di risposte sempre più personalizzate. In più, c’è un altro aspetto che viene troppo spesso sottovalutato, e cioè la gestione della collera che ovviamente ciascuna società in ciascun tempo produce. Si sono indebolite due grandi banche di collera – come le ha definite il filosofo tedesco Peter Sloterdijk – e cioè la Chiesa e i partiti di sinistra. Che immagazzinavano la rabbia e la convogliavano in progetti che possiamo definire più a lungo termine: in un caso la vita eterna e nell’altro la prospettiva della rivoluzione o delle riforme. Oggi le banche della collera sono entrate in crisi, si sono indebolite e non riescono più a gestire un quadro che non è più novecentesco”.
E la differenza è sostanziale. Oggi le nuove banche della rabbia, prosegue da Empoli “agiscono al di fuori del quadro della democrazia liberale classica. Se prendiamo come riferimento l’Italia, è innegabile che il M5S si è fatto portavoce di questa collera promuovendo il superamento della democrazia rappresentativa classica. Grazie alla tecnologia, i Cinque Stelle promettono la democrazia digitale ma in realtà più che altro hanno portato in politica la logica di Facebook che è quella di generare engagement per aumentare la permanenza sui social. E per far ciò bisogna offrire a ciascuno contenuti mirati, con l’obiettivo di produrre sovraeccitazione, rabbia negativa. In questo contesto, non sono centrali le fake news, è centrale l’isterizzazione di gruppi e sottogruppi attraverso notizie, poco importa se vere o false, che spingono tutte nella stessa direzione”.
Una modalità che ovviamente non esiste soltanto in Italia. “L’importazione della logica di Facebook è una modalità della nuova politica a livello mondiale. Da noi il Movimento e la Bestia di Salvini, nel Regno Unito ha prodotto la Brexit, negli Stati Uniti è stata cavalcata da Trump. La logica politica è la stessa, alla base c’è il desiderio di provocare uno stato di sovraeccitazione digitale”.
DOVE ANDREMO
La domanda successiva, ovviamente, è: dove si andrà a finire? Si raggiungerà un nuovo equilibrio o siamo di fronte a una deriva progressiva e inarrestabile? “È difficile rispondere – prosegue da Empoli -, dipende dai contesti. Io non sono pessimista. Negli Stati Uniti si sta ragionando su come regolare i rapporti tra la politica e il web. Lo stesso sta avvenendo anche in Europa. Ovviamente la democrazia rappresentativa troverà nuove forme, dovrà trasformarsi sulla base di questi nuovi impulsi, anche inventando nuove forme di partecipazione per affiancarle a quelle più tradizionali. D’altra parte lo stesso Machiavelli attribuiva parte della grandezza di Roma alla sua capacità di incorporare la critica popolare/populista attraverso l’istituzione dei trini della plebe”.
L’esito di questa trasformazione, secondo da Empoli, dipenderà anche dal ruolo dei media tradizionali che “fin qui non hanno svolto come avrebbero dovuto e potuto, si sono perlopiù limitati a fungere da megafoni per la propaganda. Dovrebbero e potrebbero utilizzare più senso critico”.