Se anche il canale televisivo Ntv, solitamente allineato con il Cremlino, lo contesta (“Questo è un test per tutti noi”, ha detto l’anchor Irada Zeinalova), allora significa che l’arresto – ora ai domiciliari, monitorato da due dispositivi elettronici – del giornalista Ivan Golunov è qualcosa che sta andando oltre il fatto di cronaca. Golunov lavora per Meduza — il più importante media d’inchiesta russo, con sede a Riga — ed è stato accusato venerdì scorso di uso di stupefacenti e traffico internazionale, un arresto che ha oscurato parte della risonanza del Forum economico di San Pietroburgo, dove erano presenti Vladimir Putin e Xi Jinping, perché mette la questione diritti contro la potenza russa. Domenica Evgenij Brjun, tossicologo del ministero della Salute ha subito affermato — durante uno dei programmi con cui la televisione di Stato costruisce e diffonde lo storytelling governativo — che l’analisi di un campione di urina di Golunov non ha evidenziato tracce di droghe. Chi conosce Golunov, infatti, ritiene l’accusa delirante, talmente infondata.
Il caso c’e: ieri i tre quotidiani economici russi, Kommersant, Vedomosti e Rbk, internazionalmente riconosciuti come i più terzi e liberi tra la stampa cartacea russa (di solito molto influenzata dal Cremlino) sono usciti con una prima pagina unica e pianificata: “Io/Noi siamo Igor Golunov”. In campo anche personaggi pubblici come la scrittrice Ljudmila Ulitskaja, il rapper Oxxxymiron e il regista Andreij Zuyagintsev, che hanno capacità di coinvolgimento maggiore rispetto ai politici. Per domani, 12 giugno, giorno dell’indipendenza russa, ci sarà una marcia di protesta a Mosca — prevista tappa sotto la sede dell’Fsb, l’intelligence federale, e il ministero dell’Interno, visti come mandanti dell’arresto, considerato un’operazione di repressione/rappresaglia contro uno dei giornalisti che ha condotto per Meduza inchieste importanti sulla corruzione endemica nella capitale russa, ricerche che hanno indagato in quella zona d’ombra tra politica e criminalità che a Mosca è potentissima. La manifestazione non ha autorizzazione, e potenzialmente potrebbe chiudersi in maniera violenta, ma forse sarà il Cremlino stesso a evitare di usare la mano pesante, visto che si sentirà addosso vari i riflettori.
La dichiarazione del portavoce del presidente, Dmitri Peskov, è lo specchio della situazione: “Questo caso ha scatenato un gran numero di domande. Ci sono questioni da chiarire”, ha detto colui che di solito sostiene in modo secco e senza dubbi le attività governative. Ci sono “domande” dietro l’arresto, forse ordinato pretestuosamente da qualche funzionario moscovita di ordine minore uscito dal controllo centrale; magari qualcuno che ha visto i suoi business sporchi finire all’interno delle inchieste di Golunov su Meduza. Due giorni fa, in aula per chiedere i domiciliari, appena rientrato dall’ospedale in cui gli erano state curate alcune escoriazioni (frutto di quelle che ha definito “percosse” subite dagli agenti durante l’arresto) il giornalista ha detto che crede di essere stato incastrato per la sua inchiesta su “Verum”, associazione tra notabili moscoviti e leader neonazi che ha creato un cartello ricchissimo monopolizzando il sistema di sepolture e funerali a Mosca e non solo.
Se si sommano l’uscita dei tre quotidiani – la prima volta nella storia che succede una cosa del genere, “non escludiamo che la detenzione di Golunov e il successivo arresto siano collegati alle sue attività professionali” scrivono tutti e tre – e le dichiarazioni di Peskov e di alcuni frontman nei media governativi si comprende la complessità della storia, e la profondità di un paese spesso semplificato in modo manicheo, davanti a una situazione che ancora non è per niente chiara (particolare da verificare: Golunov, poche ore prima dell’arresto, avrebbe consegnato alla redazione i risultati di una sua inchiesta giornalistica seguita per circa un anno, per la quale avrebbe detto ai colleghi di aver ricevuto minacce e intimidazioni: ancora non si sa quale sia l’argomento). Come chiaro, la questione ha preso anche le vie delle cancellerie. Il ministro degli Esteri inglese, Jeremy Hunt, ha chiesto su Twitter la liberazione del giornalista, ma l’ambasciata russa di Londra ha risposto: “Che cosa può dirci, ministro, di Julian Assange?”, il fondatore di WikiLeaks prelevato dalla sede diplomatica dell’Ecuador nella capitale inglese per essere consegnato agli Stati Uniti (che lo accusa di tradimento e altri reati gravissimi per aver rivelato informazioni compromettenti). Anche l’Unione europea, gli Stati Uniti, l’Osce e il Consiglio d’Europa hanno manifestato preoccupazioni per quanto sta succedendo.