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D-Day, Putin minimizza il mancato invito, ma è un’assenza simbolica

Mentre oggi i leader occidentali di paesi come Stati Uniti, Francia e Regno Unito, si dirigevano in Normandia per commemorare l’assalto del giugno 1944 alla Francia occupata dai nazisti – dopo essersi dati appuntamento ieri a Portsmouth, in Inghilterra, per il 75esimo anniversario dello sbarco del D-Day – molto più a Oriente, a Mosca, si consumava l’incontro tra Vladimir Putin e Xi Jinping. Meeting dall’enorme valore politico e geopolitico, che indica – sotto il segno dell’amicizia, come ha detto Xi – un allineamento pragmatico di interessi tra Russia e Cina che marca il distacco delle due potenze dal blocco Occidente.

Putin e Xi, leader di due paesi che hanno compiuto uno sforzo bellico per vincere la Seconda guerra mondiale, non erano tra gli invitati ed erano invece riuniti nella capitale russa, oltre il confine orientale dell’Europa, in quello che è stato anche definito il “contro D-Day”. Un incontro in cui si proiettavano verso il futuro i 70 anni di relazioni diplomatiche sino-russe.

“Due raduni internazionali che sono in netto contrasto: vecchi e nuovi, Est e Ovest, democratici e autocratici”, scrive Adam Taylor sul Washington Post. Da un lato gli alleati (a tratti poco convinti) americani, dall’altro due paesi che hanno in comune un avversario, gli Stati Uniti, e forse potrebbero condividerne il confronto e l’ingaggio. “Se l’America suppone che la Russia e la Cina siano una minaccia e decide di affrontare contemporaneamente i due paesi, allora un’alleanza temporanea tra di loro diventa inevitabile”, ha scritto Bruno Maçães, analista e autore da Pechino per il Moscow Times. Su questo la lettura che ci affida Germano Dottori, docente di Studi strategici alla Luiss, è chiara: Trump sta cercando di non far slittare la Cina verso la Russia, ma c’è l’ideologia degli apparati da contrastare.

Il leader russo in realtà, dal 2004, aveva sempre partecipato alla edizioni della cerimonia commemorativa – i russi non presero parte allo sbarco in Normandia, ma furono fondamentali per la disarticolazione delle armate naziste sul fronte orientale, partendo dalla vicenda di Stalingrado, e per questo erano parte delle manifestazioni. Ma quest’anno è diverso, e l’assenza segna allineamenti. Russia e Cina hanno firmato un accordo con cui si impegnano ad allontanarsi dal dollaro americano usando il commercio con il rublo e lo yuan, e di muoversi per consentire al gigante cinese delle telecomunicazioni Huawei di sviluppare una rete 5G in Russia – nonostante gli avvertimenti degli Stati Uniti che i prodotti dell’azienda presentino un minaccia alla sicurezza.

Scelte contro ciò che in una dichiarazione congiunta verrà definito “il dominio egemonico del sistema internazionale”, quello americano s’intende, che vanno al di là dei vizi di forma sul non-invito. Più folklore: ieri, la portavoce falco del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, ha detto che lo sbarco non fu un “game-changer” nella guerra. La minimizzazione dell’incontro in Normandia è parte del piano per massimizzare l’attenzione mediatica sul bilaterale russo-cinese – due nazioni che condividono confini e interessi regionali, e storia: entrambe hanno fatto passi indietro dal comunismo del XX secolo all’autoritarismo contemporaneo. Oggi da Parigi, Marine Le Pen, leader del Rassemblement National (un partito legato alla Russia di Putin), ha definito scandalosa la decisione del governo Macron di non invitare il presidente russo all’incontro. La motivazione ufficiale è protocollare, ma Putin ha replicato: “Non è un problema. Neanche noi invitiamo tutti a ogni evento. Perché dovrei essere invitato ovunque?”.

Lo spaccato è chiaro, il terreno complesso, il sovranismo nazionalista di cui la presidenza Trump fa da capo-corrente globale (per ossimoro) collide con l’approccio multi-laterale del D-Day, che sembra incastrarsi male con le visioni America First, e per questo diventa complicato rendere ripetibile l’allineamento sotto il segno americano nell’ottica di questo nuovo scontro – per ora a livelli di bassa intensità – con Russia e Cina. Ancora Taylor sul WaPo spiega un rischio: “Piuttosto che radunare i suoi alleati, l’amministrazione Trump rischia di alienarli o, nel peggiore dei casi, trasformarli in nemici. Allo stesso tempo, i suoi nemici si stanno rendendo conto che il nemico del loro nemico potrebbe anche essere il loro amico”. La penetrazione sino-russa in Europa, l’alleanza strategica messa in mostra a Mosca, sono questo genere di argomento che Washington non vuol farsi sfuggire di mano, equilibrando le amicizie storiche, le cerimonie, richieste e concessioni agli alleati.

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