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Il sovranismo gastronomico è servito. L’analisi di Arditti (con i dati Swg)

“Questo è il metodo dello schiaffo per non farla attaccare”, ha scherzato qualche giorno fa un inedito Giuseppe Conte in versione pizzaiolo intento ad impastare, a favore di camera, una classica margherita nello storico ristorante napoletano gestito da Gino Sorbillo. Un siparietto che ha il sapore di una “sfida culinaria” a distanza con il suo alleato-avversario Matteo Salvini, che ha fatto della difesa del cibo italiano il leitmotiv della sua comunicazione sui social. Così i leader esibendo i loro gusti alimentari e le loro preferenze di consumo cercano di conquistare gli elettori facendo leva su un sentimento dominante: il ritorno all’identità, meglio se locale. A misurare la forza della “spinta local” nel nostro Paese è una rilevazione di Swg che ci mostra come il 65% degli italiani ha voglia di tornare ad acquistare nel mercatino rionale. Nell’epoca dello strapotere dell’e-commerce e dei mastodontici centri commerciali, i cittadini sembrano aggrapparsi con nostalgia alle certezze del passato facendo ancora affidamento sui prodotti artigianali del “vecchio e fidato” commerciante sotto casa.

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TRA PIZZA E POLITICA

Lo ha capito ed interpretato bene Salvini che ha trasformato la sua campagna elettorale in un tour promozionale del “sovranismo gastronomico”: il peperone crusco lucano, i pizzoccheri della Valtellina e tanti altri prodotti rigorosamente locali finiti sul profilo Instagram e nella pancia “del capitano”. Ma anche l’antiglobalista per eccellenza Giorgia Meloni con la sua crociata contro il contraffatto parmesan e i suoi comizi nei mercati cittadini, elevati dalla leader di Fdi a luoghi simbolo del buonsenso popolare nella battaglia contro l’élite europea. Non ha voluto essere da meno Luigi Di Maio che proprio ieri ha preso parte a un evento al Palazzo della Borsa di Milano dedicato alla mozzarella di bufala della sua amata terra e roccaforte elettorale.

Sembra una puntata di Masterchef, ma invece è la Terza Repubblica; quella della personalizzazione sfrenata in cui il confine tra pubblico e privato non esiste più e le scelte degli elettori passano sempre di più per i piccoli gesti dei leader (preferenze culinarie comprese).

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