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Intelligence ed etica, il binomio possibile (e l’esempio di Davide De Luca)

Il culto laico della Repubblica, servire lo Stato, l’etica pubblica. Concetti evocati raramente che dovrebbero essere parte integrante dei funzionari pubblici anche se non sempre è così. È ancora più importante che questi princìpi animino gli operatori dell’intelligence e un esempio è rappresentato da Davide De Luca, scomparso nel 2006 e per decenni responsabile analisi dell’allora Cesis, il Comitato di coordinamento dei Servizi segreti sostituito dall’attuale Dis con la riforma del 2007, al quale il prefetto Giulio Maninchedda ha dedicato un volumetto denso di princìpi e concetti attualissimi (“Davide De Luca testimone di etica del servizio pubblico”, Editoriale scientifica), presentato in un convegno alla Luiss con un dibattito stimolato da Paolo Messa, nonresident senior fellow Atlantic Council.

Visto che il tema del convegno era la cultura della sicurezza nazionale e la necessità di una sua sempre maggiore diffusione, il direttore generale della Luiss, Giovanni Lo Storto, ha proposto un’alleanza tra la stessa università, l’associazione degli ex studenti Luiss e l’associazione Davide De Luca al fine di aumentare la consapevolezza della sicurezza e dell’interesse nazionale nei futuri manager che si formano in quelle aule. Gianni Letta, presidente onorario dell’associazione De Luca che conobbe quel funzionario quando era sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega ai Servizi, ne ha tratteggiato la figura con parole ammirate, quale “servitore dello Stato nel senso più alto del termine”, un esempio di quell’etica pubblica che “oggi sembra quasi smarrita, dimenticata” mentre chi serve il pubblico “soprattutto in settori delicati, deve farlo con serietà, rigore, impegno, sacrificio, rispetto delle istituzioni come ha fatto Davide”.

Complice la presenza del prefetto Carlo Mosca, già vicedirettore del Sisde, capo dell’ufficio legislativo del Viminale e capo di gabinetto di un paio di ministri dell’Interno, Letta ha ricordato i preconsigli dei ministri che presiedeva ogni martedì alle 9 con tutti i capi degli uffici legislativi e i capi di gabinetto “dove nascevano le norme (che poi sarebbero state approvate dal Consiglio dei ministri), come dovrebbe essere e non sempre è così oggi”.

Il senso dello Stato di De Luca nei quasi 30 anni al Cesis, dal 1978 al 2006, è stato sottolineato anche dal prefetto Maninchedda, un “culto laico della Repubblica” che, secondo Mosca, fa porre una domanda: esiste un’etica dell’intelligence o ne è al di sopra? Naturalmente c’è “anche se non è la stessa di altri ambiti” e anzi le diverse novità normative introdotte nell’ordinamento dopo la riforma del 2007 hanno riempito dei buchi contribuendo ad aumentare il consenso delle agenzie di intelligence presso il pubblico.

I tempi cambiano, il presidente del Copasir, Lorenzo Guerini, ha rilevato che è cresciuta la cultura della sicurezza anche nelle imprese e oggi la sfida più importante riguarda la difesa degli interessi economico-finanziari e l’ambito della cyber security. A questo proposito, il direttore del Dis, prefetto Gennaro Vecchione, ha annunciato che entro un paio di settimane sarà pronto il perimetro giuridico entro cui le aziende potranno utilizzare i sistemi 5G che tante preoccupazioni portano per la sicurezza dello Stato, normativa che sta definendo il vicedirettore del Dis delegato alla cyber, Roberto Baldoni. Se Vecchione ha ricordato un concetto da applicare nelle operazioni caro già a De Luca, quello dell’interdisciplinarietà e della transnazionalità, per il presidente Guerini il valore del libro su De Luca sta anche nell’indicare il metodo di una verifica rigorosa tra un fatto e le questioni di principio, cioè quali limiti possono essere superati per un superiore interesse nazionale. Il mondo dell’intelligence, ha concluso, può compiere ulteriori passi in avanti “anche attingendo all’esperienza di un servitore dello Stato come De Luca”.



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