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Come cambiano gli interessi nazionali nell’era degli algoritmi. Parla Terzi

Con la crescente importanza di big data e di algoritmi che li elaborano formulando previsioni sulle scelte e le preferenze di milioni di persone in tutto il mondo, il fulcro del potere sembra essersi spostato dalle grandi sedi istituzionali alle aziende che maneggiano e raccolgono la maggior parte di quest’ultimi, dando vita – come negli Stati Uniti e in Europa – anche a intensi dibattiti. Molto c’è ancora da fare sul piano economico e giuridico, mentre sul piano geopolitico – inevitabilmente – Paesi più attenti ai diritti come quello alla privacy si trovano svantaggiati nei confronti di quelli che, invece, restringono le libertà e si muovono così con maggior libertà d’azione nell’uso dei dati. A crederlo è l’ambasciatore Giulio Terzi di Sant’Agata – già ministro degli Esteri, oggi presidente di Cybaze – sentito da Formiche.net a margine del convegno “Gli Algoritmi al potere. Scenari geopolitici, economici e parlamentari”.

Ambasciatore Terzi, quali sono i pericoli più urgenti in ambito cyber sul piano geopolitico?

In questo convegno si è parlato in profondità di tutto quello che rappresenta la società algoritmica. Non tanto per dare giudizi etici o di valore alla scienza all’evoluzione del pensiero matematico e delle tecniche di cui disponiamo, ma perché manca completamente qualsiasi possibilità di supervisione da parte degli Stati e della comunità internazionale. Le migliori espressioni del sistema multilaterale, dalle corti internazionale di giustizia alle le corti sui diritti dell’uomo. Tutto l’impianto – estremamente consolidato nel tempo – che dà garanzie all’individuo di libertà e rispetto della legge, è completamente sottratto da una dimensione delle proprietà dei dati e della capacità di utilizzarli, gestirli, cederli e sfruttarli economicamente che sembra ormai irreversibile.

Come rendere conciliabile lo sviluppo tecnologico con le esigenze di privacy?

Non deve essere così, ci deve essere una reversibilità in quello che sta avvenendo. Il potere di controllo finale su tutta questa materia deve ritornare nelle sedi politiche che esprimono la volontà del popolo e quindi gli Stati si devono riappropriare di questa materia. Il machine learning, la capacità degli algoritmi di autogenerarsi, crearne nuovi e agire in completa autonomia rispetto all’uomo: bisogna garantire che tutta questa evoluzione sia nell’interesse dell’uomo e dell’umanità, come spiegano i rapporti più recenti, da quello della Camera dei Lord inglesi fino a quello dei 52 esperti designati dall’Unione europea.

In che modo il cyber space ha cambiato lo scontro degli interessi nazionali?

Si è creata una corsa, anche questa al di fuori di qualsiasi misura di fiducia e capacità di controllo sul confronto, che è molto insidiosa dato che oramai gli Stati hanno sviluppato una propria capacità di interferenza nei sistemi politici sociali. Anche sul piano militare si stanno sviluppando capacità uniche, come quella di agire al di sotto dei radar, una capacità che richiederebbe un’attivazione delle procedure dell’Alleanza. Ci sono inoltre scambi continui di azioni militari nel settore cyber che non sono pubblicizzate.

I big data, nella politica internazionale rappresentano una opportunità, ma quali sono i rischi?

Nella gestione dei big data si è parlato ancora, con osservazioni molto interessanti, sulle capacità di acquisizione degli stessi. I big data rappresentano un’enorme ricchezza autogenerata dai colossi del Web. In realtà non si è ancora sufficientemente discusso il fatto che nel mondo dei big data ci sono dei major player, grandi protagonisti, tra cui la Cina. Al momento Pechino è l’attore che ha in assoluto più carte da giocare, per il semplice fatto che non subisce le costrizioni di una società democratica. Senza quest’ultime riesce facilmente a effettuare sottrazioni di identità digitali al pubblico, agendo su una grande massa di cittadini dai quali può estrarre qualsiasi tipo di informazione. A questo approccio si coniugano gli allarmi americani circa il potenziale ruolo che dispositivi dei colossi cinesi, Huawei ma non solo, possono e potrebbero avere ancora di più in futuro vista la loro capillarità nei Paesi occidentali.

Qual è – a suo avviso – il ruolo degli algoritmi nel contesto internazionale e come si lega questo alla preminenza di una nazione su un’altra?

Ormai questo rientra nelle strategie di sviluppo e di ricerca delle grandi potenze. L’Unione europea ha stabilito un piano d’azione per ritornare ad occupare una posizione di leadership nell’acquisizione dei dati per l’Intelligenza artificiale – insieme a Stati Uniti e Cina. Al momento Bruxelles è indietro per quanto concerne gli investimenti nel settore. Non sono paragonabili a quelli fatti da Stati Uniti e Cina, ciononostante c’è piano di investimenti massicci nel programma in corso di sviluppo in questo campo con cifre estremamente ambiziose.

L’Ue sarà in grado di tenere il passo di Washington e Pechino?

Nel piano di investimenti Ue si parla addirittura di 20 miliardi di euro l’anno, mettendo insieme risorse dei settori pubblico e privato. E questo solo per l’Intelligenza artificiale. Non si può certo dire che l’Unione europea non si stia muovendo in modo promettente. C’è una grandissima attenzione su questo e se si riuscisse ad attuare delle forme di tutela nei confronti di investimenti predatori e di intrusioni sarebbe di certo un passo avanti.


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