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Teheran cerca vie di uscita alle sanzioni americane. Ecco quali

Secondo sei fonti sentite dalla Reuters, l’Iran ha aumentato le vendite di prodotti petrolchimici a paesi come Brasile, Cina e India nel tentativo di far fronte alla perdita di mercato collegata al re-inserimento della completa panoplia di sanzioni americane, collegata al ritiro statunitense dall’accordo sul congelamento del programma nucleare iraniano raggiunto nel 2015. La spinta per il commercio petrolchimico, su cui anche la Guida suprema Khamenei da poco dato la sua benedizione, dimostra che le attività americane per portare a zero l’export di greggio iraniano – e tagliare il principale asset statale di Teheran – stanno funzionando (il dato di maggio indica che rispetto ad aprile 2018 è rimasto attivo solo il 16 per cento dell’export iraniano).

Ora gli americani stanno pensando a un nuovo set di misure proprio per colpire il comparto petrolchimico di Teheran, che già in parte è sotto scacco, ma restano dei campi di ambiguità su prodotti ibridi come urea, ammoniaca e metanolo; linee vitali per il commercio iraniano, dato che il settore petrolchimico è la seconda più grande industria di esportazione dell’Iran dopo petrolio e gas. Venerdì scorso, il Tesoro americano ha messo sotto sanzioni la Persian Gulf Petrochemical Industries Company, citando i suoi legami con le Guardie rivoluzionarie iraniane, il corpo militare teocratico che gli Stati Uniti hanno designato come organizzazione terroristica ad aprile. Le nuove misure si applicano anche a 39 società controllate e vettori di vendita con sede all’estero.

Le società che acquistano prodotti petrolchimici iraniani negli ultimi sei mesi pagano in contanti, per evitare di cadere nelle ripercussioni americane legate alle transazioni in dollari. Alcune sono state fatte in dirham emiratino, altre in Euro – le transazioni in Euro sono teoricamente protette da un sistema creato a Bruxelles a gennaio (si chiama Instex), ma Washington starebbe pensando di alzare sanzioni sulla controparte iraniana, lo Special Trade and Finance Institute, che è uno spin-off della banca centrale creato proprio per le transazioni con l’Ue. Nell’ultimo anno gli Stati Uniti hanno aumentato severamente l’ingaggio contro Teheran, che è fatto di due lineamenti: da una parte le pressioni di carattere economico, collegate al mondo commerciale e quindi, su tutti, al settore energetico; dall’altra la deterrenza militare.

L’obiettivo, molto trumpiano, è di pressare il governo iraniano e farlo tornare di nuovo a sedersi a un tavolo di trattativa che riguardi il nucleare, i missili balistici e più in generale il tentativo di espandersi egemonicamente nella regione mediorientale. Nei prossimi giorni, l’Iran userà l’alleanza nippo-americana per cercare di aprire una porta di contatto con Washington, secondo quanto detto ai media dai funzionari che accompagnano a Teheran Shinzo Abe, il premier giapponese, che ha ricevuto una green card per trattare durante la visita di Stato che due settimane fa ha portato a Tokyo Donald Trump. Secondo quanto riferito ai media dagli sherpa iraniani, il tema centrale su cui Teheran vuole aiuto dal Giappone è proprio il settore petrolifero e le sanzioni connesse.

(Foto: Twitter, @konotarogomame, i ministri degli Esteri giapponese e iraniano)

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