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Il fratello di Kim era una spia della Cia?

Secondo una “fonte anonima informata sui fatti” che ha parlato con il Wall Street JournalKim Jong-nam, fratellastro del satrapo nordcoreano Kim Jong-un, sarebbe stato in contatto con la Cia. Se uno dei principali giornali economici del mondo – ambiente non ostile alla presidenza Trump – lancia in questo momento di stallo dei negoziati americani con il Nord, diffusione di informazioni non vere su purghe interne, e dichiarazioni propagandistiche da Pyongyang, una notizia del genere c’è da prestare un minimo di attenzione.

Anche perché il fratellastro del leader è stato freddato il 13 febbraio del 2017 all’aeroporto di Kuala Lumpur con una storia da film di spionaggio – due donne lo hanno avvicinato spruzzandogli uno spray sul viso perché credevano di essere personaggi di una candid camera, ma lo spray conteneva gas VX che ha rapidamente spento il nordcoreano. Le donne sono state entrambe rilasciate dopo pochi mesi, fondamentalmente esecutrici materiali del delitto, ma a loro insaputa. I mandanti, o meglio gli organizzatori, sono stati invece individuati: sarebbero un gruppo di agenti nordcoreani che il giorno stesso del delitto avevano lasciato il suolo malese.

Ora il WSJ dice che il giorno in cui è stato ucciso, Kim Jong-nam si trovava nella capitale della Malesia proprio per incontrare il suo contatto con la Cia, e dunque il controspionaggio del Nord avrebbe agito più in fretta dell’agenzia americana, organizzando l’eliminazione della gola profonda.

Dettaglio in più da Reuters a rendere più interessante lo scoop: l’agenzia spara ieri un’anteprima del nuovo libro di Anna Fifield – “The Great Successor“, oggi in edicola. La corrispondente del Washington Post da Pechino, star tra i giornalisti che coprono il Pacifico, conferma il collegamento con la Cia. Scrive che il filmato di una telecamera di sicurezza ha mostrato Kim Jong-nam in un ascensore di un hotel nell’isola resort di Langkawi con un uomo dall’aspetto asiatico che è stato segnalato per essere un agente dei servizi segreti degli Stati Uniti; avrebbe avuto con sé uno zaino con 120mila dollari in contanti, che sarebbero stati il rimborso (o parte del) per le attività legate all’intelligence. L’informazione era già stata rivelata in parte da un quotidiano giapponese, che supponeva però che quei soldi potessero anche essere il fortunato bottino di vari giri al casinò.

Non bastasse, perché anche il Financial Times aggiunge la sua esclusiva: la fonte del quotidiano della City è un giornalista giapponese a cui il fratellastro caduto in disgrazia avrebbe confessato il suo doppio gioco. Il combinato disposto accende i riflettori, fa sembrare la ricostruzione sui link con l’Agenzia assolutamente credibile, ma val la pena ricordare che già negli anni passati varie fonti dell’intelligence americana avevano commentato discretamente con vari media la sua uccisione.

La ritenevano difficilmente collegabile a collaborazioni in corso, in quanto era da diverso tempo che viveva lontano dalla Corea del Nord e non aveva più contatto con i meccanismi interni del potere. La vendetta di Kim contro colui che per un po’ è stato considerato il suo erede è arrivata fredda per un tradimento vecchio, oppure ancora il fratellastro aveva qualcosa da raccontare? Su di lui giravano anche storie riguardo a un contatto con i servizi segreti cinesi, che lo avrebbero usato come porta tra le maglie strette del regime alleato.

 

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