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Matteo Salvini è al bivio. Ha venti giorni per decidere cosa fare. Parla Sardoni

Irresponsabilità, ALESSANDRA SARDONI

Tutto è nelle mani di Matteo Salvini che si trova in una condizione da sliding doors: deve decidere cosa vuole fare. Ma, a mio avviso, ci sono diversi fattori che lo potrebbero spingere a tornare al voto“. Dopo il grande successo delle europee, per il leader leghista è arrivato il momento della verità. Rimanere al governo con i cinquestelle oppure forzare la mano a tal punto da costringere  gli alleati a chiudere la stagione della maggioranza gialloverde? Secondo la cronista parlamentare del Tg di La7 Alessandra Sardoni, il dado ancora non è stato tratto anche se il bivio si avvicina: “C’è chi lo paragona a quello che visse Bettino Craxi nel 1991 quando si trovò a scegliere se andare a elezioni oppure no. O anche alla decisione di Matteo Renzi che a inizio 2014 andò direttamente a Palazzo Chigi senza passare dalle urne. Ci sono momenti nella vita di un leader politico che sono decisivi. E questo per Salvini è uno di quelli“. Cosa deciderà è ancora presto per dirlo ma certo, a dodici mesi di distanza dall’insediamento dell’esecutivo, non si può non sottolineare – ha aggiunto Sardoni – “la differenza di clima che si respira tra gli alleati. Un anno fa, al ricevimento del Quirinale per la festa del 2 giugno, nasceva il governo di Giuseppe Conte, mentre oggi leghisti e cinquestelle praticamente non si parlano più“.

Quali sono le ragioni che indurrebbero Salvini a provocare la crisi?

Sono numerose, a partire dai risultati che ha ottenuto nel Mezzogiorno, l’unica zona del Paese in cui c’erano ancora dubbi sulla capacità della Lega di macinare consensi. Anzi, al Sud Salvini può ancora crescere mentre i cinquestelle, seppur in misura inferiore rispetto al resto d’Italia, hanno perso voti anche lì. E poi l’assenza di un’opposizione forte nel senso che il Partito democratico ancora stenta ad avere un assetto chiaro e soprattutto a dare una risposta contro-programmatica. Ma ce n’è un’altra ancora più importante.

Quale?

Che per la prima volta, almeno a mia memoria, non ci sono scenari alternativi al voto nel caso in cui questo governo non dovesse reggere. Chi causa la crisi sa che si andrebbe a elezioni anticipate. E l’unico che può avere un interesse in questo senso è Salvini. In campagna elettorale ci si chiese perché non avesse rotto sulla Tav. Una delle ragioni è che temeva ancora possibili maggioranze diverse in Parlamento. Ma ora non più.

Proprio sicura che non possano nascere in Parlamento maggioranze alternative, magari in virtù della moral suasion del Presidente della Repubblica?

Ma la stagione dei governi tecnici è finita. Secondo me Sergio Mattarella non ci penserebbe neppure, perché non ci sarebbero i numeri come dimostra pure la brevissima esperienza di Carlo Cottarelli. E non vedo neanche lo spazio per giochi parlamentari: non converrebbe a nessuno dei due alleati di governo una manovra di palazzo che escludesse l’altro. Se la facesse Salvini con il centrodestra e un gruppo di responsabili, i cinquestelle risorgerebbero. Se, al contrario, provassero a far nascere un governo tra i pentastellati e il Pd, Salvini ne trarrebbe un vantaggio enorme.

Eppure di questa ultima ipotesi si è a lungo parlato sia prima dell’insediamento del governo Conte che dopo. Perché la esclude?

Intanto perché i renziani non ci starebbero e quindi mancherebbero i numeri. E poi, soprattutto, perché sono convinta che al Pd non convenga affatto andare al governo in queste condizioni. Sarebbe davvero debolissimo e non riuscirebbe a combinare nulla. Onestamente non ci credo, nessun segnale va in questa direzione.

Però, di fatto, saremmo comunque in una situazione in cui i parlamentari degli altri partiti dovrebbero accettare di tornare al voto pur consapevoli di andare incontro a sconfitta certa. Non sarebbe un po’ strano?

Secondo me no, resto dell’idea che gli altri siano consapevoli che fare un qualsiasi altro governo non sarebbe comunque un vantaggio. Le elezioni prima o poi arrivano.

Però, difficilmente potrebbe essere Salvini a far cadere il governo. Al massimo potrebbe indurre la crisi, giusto?

Certo, non può essere Salvini a strappare. Però potrebbe alzare così tanto il tiro da rendere impossibile per i cinquestelle la permanenza al governo. In questo senso non sottovaluterei quanto accaduto venerdì con la lettera di Giovanni Tria all’Europa: il segnale che i terreni scivolosi sono numerosi e che le fibrillazioni sono destinate a moltiplicarsi.

A proposito, cosa ci dice in questo scenario l’episodio di venerdì?

Che i cinquestelle, pur molto indeboliti dal voto, possono comunque creare problemi alla Lega. E’ stato indubbiamente conveniente per loro che quella bozza uscisse prima, per potersi poi intestare il merito di aver fermato i tagli al welfare e di avere un ruolo ancora decisivo al governo.

E le fibrillazioni dei mercati e degli investitori? In fondo, forse, un altro elemento che potrebbe spingere Salvini a rompere. 

Di sicuro avranno un peso nella decisione. Il perdurare delle tensioni su questo terreno mi sembra confermi che la campagna elettorale non è affatto finita. Non mi pare che si stiano preparando a mettere mano alla prossima manovra economica. Se il governo non cadrà, sarà a trazione leghista. Questo vuol dire che Salvini non potrà non intestarsi la prossima legge di bilancio da approvare in autunno. Con tutte le ripercussioni del caso.

Eppure il leader leghista non ha ancora sciolto le sue riserve. Anzi, finora ha confermato che il governo andrà avanti. Perché a suo avviso?

Naturalmente c’è anche una scuola di pensiero secondo cui per Salvini sarebbe più conveniente una trazione leghista di un governo Conte in cui i grillini facciano tutto quello che vuole la Lega. Qualcuno dice che Salvini potrebbe avere un vantaggio da questa condizione. Può essere, può succedere che aspetti e che si accontenti, per così dire, di questo ruolo di premier virtuale.

Quali sono i dossier più caldi che potrebbero rendere impossibile per i cinquestelle rimanere al governo con Salvini?

Innanzitutto, Tav e autonomia. Però abbiamo visto toccare anche il reddito di cittadinanza, mi pare che la vicenda di della lettera dica questo. In un certo senso, quell’elemento un po’ di sinistra di difesa a oltranza dello stato sociale che ha caratterizzato l’ultima parte della campagna elettorale dei cinquestelle e che Luigi Di Maio vuole conservare. Ma anche, ad esempio, l’emendamento allo Sblocca cantieri che punta a sospendere così repentinamente l’applicazione del codice appalti è una provocazione verso i cinquestelle.

E la riforma della giustizia?

Quello è un tema di per sé stesso abrasivo per i cinquestelle. Salvini lo ha cavalcato in più di un’occasione e addirittura ha sventolato lo spettro della separazione delle carriere che è davvero indigesta per i cinquestelle. Se ci fossero forzature nel campo della cosiddetta questione morale, per il movimento sarebbe impossibile andare avanti.

Ma in casa Lega qual è l’umore prevalente dei dirigenti?

Fino al voto la rappresentazione che è stata fatta – a favore della rottura dell’alleanza – secondo me è realistica. E la situazione, adesso, non è che sia molto cambiata: c’è un partito forte che vuole tornare al voto, come emerso pure dalle parole pronunciate da Giancarlo Giorgetti nelle settimana precedente le europee. I leghisti, anche in Parlamento e nelle commissioni, sono sempre più insofferenti nei confronti dei cinquestelle.

E quanto peseranno queste pressioni?

Questa spinta intorno a Salvini c’è ma tutti sanno che a decidere sarà lui: una scelta individuale affidata al suo istinto che fin qui ha premiato, eccome, la Lega.

I cinquestelle invece?

Le cose per loro sono molto più complicate ovviamente, perché sanno con certezza che non avrebbero lo stesso numero di parlamentari. E in più c’è anche il limite dei due mandati che pesa. Attualmente, si dividono tra chi è convinto che l’unica possibilità di sopravvivenza sia al governo e chi invece pensa esattamente il contrario: che sia necessario tornare al voto per non morire politicamente.

Ma questa situazione di incertezza quanto durerà ancora secondo lei?

Una ventina di giorni. Non si può rompere subito perché se poi Mattarella sciogliesse immediatamente le Camere si finirebbe votare a metà agosto. E questo, naturalmente, non è possibile. Tutti hanno individuato il momento in cui arrivare eventualmente alla crisi tra una ventina di giorni. Ma non dopo, per poter votare a settembre e rispettare uno dei paletti fissati dal Capo dello Stato che vuole preservare la manovra. Un governo in carica per approvarla ci deve essere, per questo bisognerebbe votare entro settembre.

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