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Chi ha il diritto di tagliare a fette il mondo? Paglia e Cantone tra etica e diritto

C’è un solo giorno nella storia, o per meglio dire nella nostra storia, che deve aver superato come impatto emotivo, politico e culturale l’11 settembre del 2001. È stato il 29 maggio del 1453, quando i giannizzeri di Mehmet II conquistarono Costantinopoli. Morti, distruzioni, capitolazioni, ma soprattutto la notizia sconvolgente che l’esercito musulmano aveva conquistato la capitale della cristianità, la seconda Roma. Finiva un mondo? La reazione di quello che potremo chiamare l’Occidente di allora fu pensare a una nuova crociata, presa seriamente in considerazione dalla Dieta di Ratisbona. Un uomo però seppe raccogliersi, riflettere: era altro sangue, altro odio, il “giusto” rimedio?

Nicola Cusano rispose alla notizia sconvolgente con un trattato di pochi capitoli, sotto forma di dialoghi, il De pace fidei, “La pace della fede”, con lo scopo di “placare la follia dell’ira e di aiutare la verità a manifestarsi”. E la verità è che c’è una sola religione, praticata in diversi riti. Nicola Cusano, a differenza dei tanti che vissero l’ira e lo sconvolgente bisogno di rivincita o vendetta, è entrato nei libri di storia. Lui, cardinale di Santa Romana Chiesa, vicinissimo al Papa Pio II, è definito da tutti i manuali uno dei padri della modernità. Ma la sua enorme intuizione è che esiste una sola religione, in diversi riti, perché il finito non è proporzionabile all’infinito, che non siamo noi a sapere tutto di Dio, ma è Dio a sapere tutto di noi, non è ancora divenuta coscienza condivisa. Eppure già allora, anzi, proprio allora, Cusano scrisse: “Cesserà la guerra, il livore dell’odio e ogni male e tutti conosceranno che non vi è se non una sola religione, pur nella diversità dei riti”.

Così tanti secoli dopo lo sforzo di Nicola Cusano è ancora un grande monito all’umanità tutta, potremmo dire il frutto “giusto” di un grande sforzo interiore. Ma cosa è “giusto”? E quindi cosa possiamo dire “ingiusto”? L’eterna questione del vero rapporto tra etica e diritto, tra testa e pancia, domina il testo “La coscienza e la legge” (Laterza, 16 euro), scritto da Raffaele Cantone e Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita. Parlare oggi di coscienza e legge, di etica e diritto, sa ovviamente di sfida: guardando dal basso si potrebbe pensare all’etica e al diritto davanti al mondo del web che si appresta a battere moneta dopo aver creato la post-verità, le post-persone e la post socialità, “più social ma meno sociali” ha detto un giorno Francesco. Guardando dai piani mediani si potrebbe pensare a un mondo che per giustificare le leggi non sa più citare criteri giuridici ma fatti, dunque la legge non anela neanche più alla propria giustezza, ma solo a definirsi in nome del “fatto” che la richiede. Difficile ricordarsi in queste condizioni, ha ricordato padre Enzo Fortunato portavoce del Sacro Convento di Assisi, che il termini felici viene da felix, cioè fertile, come la terra che dà frutti, non come chi soddisfa i propri bisogni.

Quindi l’urgenza affrontata dal libro sembra proprio quella di un patto che unisca credenti e non credenti nella difesa dei valori condivisi, dell’incontro indispensabile tra etica e giustizia, che non può verificarsi all’ombra degli indici di gradimento. Come ha compreso Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio, si tratta di “un’alleanza” non per difendere sé stessi, ma per difendere la democrazia dall’assalto dei diversi primatisti, che sono tanti: quello bianco, quello cristiano, quello islamico, quello indù, quello degli estremisti buddisti. La democrazia è incompatibile con ogni primatismo. Pensando a quel di cui si è scritto potremmo dire che esiste un solo primatismo, secondo diversi riti. Anche un solo fondamentalismo populista? Credo di sì, e certamente è pensandoci che si delinea il panorama visto dalla cima di questa riflessione su etica e diritto, la grande sfida che sottostà all’alleanza. Questo panorama sta in una domanda: alleanza tra chi? Lo ha detto monsignor Paglia: etica e diritto non richiedono un incontro tra credenti e non credenti, neanche tra tanti diversi credenti e non credenti: sono categorie logore, basta… Quanti credenti non credono e quanti non credenti non sanno di credere? No, se davvero l’incontro tra etica e diritto ricerca nuove alleanze lo fa tra persone che hanno scelto l’umanesimo. Sì, l’umanesimo, quello di cui il cardinal Cusano è stato tra i più grandi interpreti.

L’umanesimo europeo è in crisi e se l’Europa fallisse fallirebbe l’umanesimo di cui siamo figli e debitori. La scelta asiatica, o una nuova egemonia americana, metterebbero avanti la finanza, non l’uomo. Per capirlo occorre partire da una semplice domanda, che monsignor Paglia ha avuto il coraggio di fare, esplicitamente: esiste il diritto dei figli di questa terra a viverci? Sì? E allora nessuno ha il diritto di erigere muri, nessuno ha il diritto di costruire steccati, per di più in un mondo che da quasi mezzo secolo chiamiamo “villaggio globale”. Se il mondo è il mondo nessuno ha il diritto di tagliarlo a fette secondo il proprio gradimento o interesse. Ecco stabilito un criterio fondamentale che poi ci accompagnerà nel cammino verso la legittima difesa, contro la corruzione e tanto altro ancora.

Il cardinale “padre” della modernità, considerato tra le più alte espressioni dell’umanesimo europeo, avrebbe ascoltato volentieri un altro esponente vaticano indicare nell’umanesimo il bene prezioso da tutelare con una nuova alleanza tra persone che credono in quel che l’Europa ha dato a sé e al mondo, producendo poi l’ordine liberale e democratico dopo gli orrori del Novecento. Mentre un vascello attende da giorni e giorni al largo delle nostre coste e alte corti ne respingono il ricorso, monsignor Paglia ha saputo indicare nel diritto di tutti i suoi figli a vivere nel loro mondo il diritto che fonda tanti altri diritti, che poi ha illustrato. Un coraggio che oggi pochi hanno ma che è indispensabile, come quello che dimostrò Cusano scrivendo il suo “De pace fidei”.


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