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Dal papa l’invito a essere testimoni di libertà e misericordia. E la richiesta di perdono ai rom

papa, monda, ABU DHABI

IL VIAGGIO IN ROMANIA

Qual è stato il cuore di questo ultimo giorno rumeno di Jorge Mario Bergoglio? L’incontro commosso con i rom o la beatificazione dei sette vescovi martiri al tempo della dittatura del totalitarismo ateo? Forse questi due eventi sono stati i due polmoni del viaggio rumeno del papa, indispensabili a far respirare il cuore di questo pellegrinaggio rumeno che si è percepito quando il papa ha avvertito:  “la fine del mondo arriverà quando non ci sarà più amore”. E allora i due eventi del giorno, la beatificazione e l’incontro con i rom, non possono che partire da questo annuncio, che ha seguito un ammonimento pronunciato già al primo mattino. Bergoglio infatti ha aperto la sua giornata avvertendo non certo soltanto i romeni, ma tutti noi: “il peggio viene quando non ci saranno sentieri dal vicino al vicino, quando vediamo più trincee che strade”. Eccolo il momento in cui si vedrà la fine del mondo. Chiusi ciascuno nella sua trincea come potremo amare qualcuno?

IL PAPA DELL’INQUIETUDINE

Non è difficile capire che il papa dell’inquietudine, il papa che ha detto che solo l’inquietudine, un atteggiamento inquieto verso la vita e il prossimo può darci pace, non parla di un giorno teorico, ma di questo nostro tempo, che dobbiamo cambiare pensando al prossimo come a un fratello, non a scavare trincee. Poi la beatificazione. E’ un momento che parla a cattolici e ortodossi perché tutto il cristianesimo in questa terra è stato perseguitato. Facile parlare di persecuzione comunista, ma il papa è più accurato, preciso, profondo, e parla di persecuzione da parte del totalitarismo ateo. E ricordando questa eredità lasciata dal regime di allora e dalle sue vittime  chiede al popolo cattolico della Transilvania di essere testimone di libertà e misericordia. La libertà per la quale si sono sacrificati i martiri di ieri, la misericordia con la quale hanno vissuto, senza mai una parola d’odio, neanche per i persecutori. E visto che di cultura dell’odio aveva parlato ieri, l’attualità dei sette martiri diviene chiara, evidente.

COLONIZZAZIONI IDEOLOGICHE

Ma Papa Francesco non vuole che tutto sia sotto traccia, riconducibile a un filo unico solo ricostruendo i vari pezzi del suo messaggio-mosaico. E così esplicita questo riferimento all’odio di oggi, di questo tempo, facendo presente che la dittatura materialista, atea di ieri può tornare sotto altre forme: “anche oggi riappaiono nuove ideologie che, in maniera sottile, cercano di imporsi e di sradicare la nostra gente dalle sue più ricche tradizioni culturali e religiose. Colonizzazioni ideologiche che disprezzano il valore della persona, della vita, del matrimonio e della famiglia e nuocciono, con proposte alienanti, ugualmente atee come nel passato, in modo particolare ai nostri giovani e bambini lasciandoli privi di radici da cui crescere; e allora tutto diventa irrilevante se non serve ai propri interessi immediati, e induce le persone ad approfittare delle altre e a trattarle come meri oggetti. Sono voci che, seminando paura e divisione, cercano di cancellare e seppellire la più preziosa eredità che queste terre hanno visto nascere. Penso per esempio all’Editto di Torda del 1568, che sanzionava ogni sorta di radicalismo promovendo – uno dei primi casi in Europa – un atto di tolleranza religiosa. Vorrei incoraggiarvi a portare la luce del Vangelo ai nostri contemporanei e a continuare a lottare, come questi Beati, contro queste nuove ideologie che sorgono. Possiate essere testimoni di libertà e di misericordia, facendo prevalere la fraternità e il dialogo sulle divisioni.”

TESTIMONI DI LIBERTA’ E DI MISERICORDIA

Dunque testimoni di libertà e misericordia, non di odio e trincee, di quella cultura che sembra incantarci come le antiche sirene, paralizzandoci, mentre la musica di Dio ci insegna a camminare insieme. I toni lirici, poetici, in papa Bergoglio sono stati presenti anche in Transilvania, questa terra famosa per i vampiri, il loro vivere del sangue degli altri, e dove il papa della fratellanza non poteva parlare di fratellanza anche con loro, i rom, incontrati nel pomeriggio prima di ripartire. L’eccezione dei rom, l’unico popolo che rivendica di essere tale, cioè di essere una nazione, senza rivendicare un territorio, è tornare a colpire grazie a un passaggio pronunciato con estrema forza da Francesco. Incontrandoli infatti il papa esordito dicendo di aver “desiderato stringere le vostre mani, mettere i miei occhi nei vostri, farvi entrare nel cuore, nella preghiera, con la fiducia di entrare anch’io nella vostra preghiera e nel vostro cuore».

Era l’ora dell’affondo pieno di verità storica. “Nel cuore porto però un peso. È il peso delle discriminazioni, delle segregazioni e dei maltrattamenti subiti dalle vostre comunità”. La storia “ci dice che anche i cristiani, anche i cattolici non sono estranei a tanto male. Vorrei chiedere perdono per questo”. Il perdono oggi più importante per i vento anti-gitano che torna prepotente. “Perdono – in nome della Chiesa al Signore e a voi – per quando, nel corso della storia, vi abbiamo discriminato, maltrattato o guardato in maniera sbagliata, con lo sguardo di Caino invece che con quello di Abele, e non siamo stati capaci di riconoscervi, apprezzarvi e difendervi nella vostra peculiarità”. Ricordando le persecuzioni naziste forse era giusto partire da qui, per l’odio diffuso verso questo popolo al quale il vescovo di Roma ha detto:  “A Caino non importa il fratello. È nell’indifferenza che si alimentano pregiudizi e si fomentano rancori”. 



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